lunedì 5 gennaio 2009

Stefano Campanini, ragioniere dismesso


Aristodemo e Vittorina, da tutti chiamata Turivia. Già i nomi anticipano quanto antica può essere questa storia. Sono nomi in uso nei primi anni del Novecento, quando Aristodemo Oppici aprì il ristorante del Santuario, in un’ala a fianco della chiesa di Madonna dei Prati, il 7 maggio 1911.
La prima pietra di quella che oggi è la Trattoria Campanini o Trattoria dei Prati, ovvero il luogo che ha segnato la vita di Stefano Campanini, quarant’anni, figlio di contadini, diplomato ragioniere che non si è mai spostato dal luogo in cui è nato, ovvero la frazione di Madonna dei Prati, in comune di Busseto; quattro case, una chiesa, la canonica, il telefono e la trattoria. La scuola ha chiuso negli anni Settanta.
Ma andiamo con ordine. Il Ristorante del Santuario si spostò nel 1915 ma di pochi decine di metri e, da quel momento entra in scena Ugo, il figlio di Aristodemo che gestisce il locale fino al 1954. Un altro spostamento di pochi metri nel 1939, nell’edificio che ancora adesso ospita la trattoria.
Ugo se ne va nel 1954 aprendo un negopzio di alimentari, e nella trattoria subentra in affitto suo nipote Romano Campanini, contadino, con la sua famiglia e con la mamma Vittorina detta Turivia.
Romano conduceva il podere di Giovannino Guareschi che fu il suo testimone di nozze. Morì troppo giovane, a trentadue anni. La trattoria restò nelle mani di sua mamma Turivia e di sua moglie Maria. I figli di Romano e Maria avevano 6 e 10 anni, Stefano e Franca.
Ritornò Ugo a dare man forte ed inventò la serata della torta fritta e della spalla cotta, che ancora adesso è l’identità del locale.
Stefano era figlio di contadini, ma sua mamma voleva per lui maggior sicurezza e cercò di mandarlo al collegio dei frati a Salsomaggiore. Il pericolo venne scampato perché Stefano, con tutta una serie di accorgimenti da figlio di contadini, non dimostra una predisposizione alla vocazione.
In concomitanza con l’ottenimento di diploma di ragioniere di Stefano, la trattoria viene posta in vendita e, Turivia e Maria decidono di comprarla. Fine del primo tempo.
Stefano, in quel locale, ci era cresciuto, faceva i compiti nel bar, e aveva il compito di chiamare la mamma o la nonna nel caso entrasse qualche cliente. Il suo primo ricordo è un enorme mortadella che campeggiava nella piccola bottega alimentare annessa alla trattoria. “Sta bravo che poi te la faccio assaggiare” sono le parole della mamma che Stefano associa al ricordo.
Ma lui non si sentiva ragioniere, lui si sentiva figlio di contadini, figlio di quella terra, anzi di quel lembo di terra che corrisponde a Madonna dei Prati. Iniziò così il suo mestiere di difensore del luogo e della memoria. Perché Stefano è sicuramente un bravo cuoco, è altrettanto un ottimo produttore di salumi, e persino un competente sommelier ma è, prima di ogni altra cosa, uno dei precursori della famosa filiera corta, in questo caso cortissima.
Infatti lui non si è mai mosso dal microcosmo della frazione, attorno a cui ha sviluppato la sua idea di prodotto. I suoi salumi passano dalla cantina della canonica, dove stagionano tra muri che hanno più di duecentocinquant’anni, alle cantine della trattoria pronti per essere consumati. In tutto quindici metri!
E chi poteva mai essere il custode della cantina se non il campanaro della chiesa? Il Giuseppe Filiberti detto Pino, che era l’aiutante di suo padre Romano nella conduzione del podere di Giovannino Guareschi.
I suoi maiali vivono nel raggio di pochi chilometri da casa e ogni cosa che viene servita nella trattoria è fatta a mano come si è sempre fatto. In pratica Stefano è uno che fatica, che sposta i culatelli a mano se rischiano troppa umidità, che entra in cucina al mattino presto con sua mamma e se ne esce a sera tardi, che condivide con sua sorella Franca le scelte di conduzione dell’azienda, che tiene sempre all’erta la sua insaziabile curiosità ascoltando le storie di chi vive lì da decenni, rivelatrici di segreti e accorgimenti che lo aiutano a migliorare i suoi prodotti, come la sfoglia che adesso fa adottando un piccolo trucco che gli ha rivelato la sua vicina di casa novantenne.
O come il nuovo marchio dei suoi prodotti che gli è venuto in mente ascoltando un concerto di sergio Cammariere in cui l’emozione era il leit-motiv: Momenti, il piacere di un’emozione.
Bisogna stare attenti quando si entra nella sua trattoria perché le pareti sono un museo fotografico del territorio. Ci si sente addosso un secolo di storia, di persone, di luoghi, di oggetti. Si scopre visivamente il momento in cui la fatica di essere contadini ha lasciato il passo ad un certo grado di benessere, concomitante anche con la scomparsa della convivialità tra le persone.
E Stefano, anche se per ovvi motivi anagrafici non c’era, sente suo ognuno di quei momenti, te li racconta con entusiasmo, con la consapevolezza che il passato non può e non deve ritornare, ma che i valori per fortuna ci sono ancora. Forse è questo il vero motivo per cui non si è mai allontanato da Madonna dei Prati. Perché qui, nella sua filiera cortissima, il valore dell’uomo, il valore del lavoro, il valore dell’onestà a tutti i livelli tiene duro.

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