giovedì 10 dicembre 2009

Biennale Internazionale dell’Arte Contemporanea di Firenze, dal 5 al 13 Dicembre 2009




Una rassegna di grande livello qualitativo, dove davvero vien voglia di dire “Se non è arte questa…”. Seicentocinquanta artisti, da 78 paesi, per 2000 opere esposte; uno sguardo sul mondo di straordinario impatto emotivo. Tra le cose che mi hanno colpito di più i lavori di Agnieszka Kurek, Kiki Fleming, Lisa Davis, Esteban Morales, Al Wildey, Charly Martinez, Eileen Chan, Eugenia Esteban, oltre all’artista piacentina Brigitta Rossetti.

“L’arte deve disturbare. La scienza deve rassicurare.” Lo scriveva George Braque e questa frase sintetizza al meglio la creazione dell’opera che Brigitta Rossetti ha scelto di presentare alla Biennale di Firenze: il titolo dell’istallazione è Entering the obsession.
L’obiettivo duplice: l’inizio di un viaggio che potrà condurre alla scoperta come alla sconfitta, attraverso un percorso dall’esperienza visibile comune al mondo intellettivo ed intellegibile individuale; la necessità dell’artista di sensibilizzare su uno dei mali più sottili dei nostri anni, l’ossessione appunto.
L’istallazione racchiude più opere e più tecniche in un’unica imponente rappresentazione, come a voler dare libertà alla poliedricità dei suoi metodi di lavoro e di passione: pittura, videoinstallazione, scultura, poesia in un insieme di segni, gli stessi che richiamano un paragone, forse arduo ma azzeccato, con un’affermazione di Eraclito, “non sarebbe affatto meglio se le cose andassero come gli uomini desiderano. A meno che non ti aspetti l’imprevedibile, non troverai mai la verità, perché è arduo scoprirla e arduo realizzarla. La natura ama nascondersi. L’oracolo di Delphi non parla né nasconde: dà semplicemente dei segni”.
Entering the obsession è il frutto di un lavoro dove Brigitta Rossetti si è misurata con il suo passato, con le esperienze che quotidianamente si presentano ai nostri occhi a cui non prestiamo la giusta attenzione, con persone che l’ossessione l’hanno vissuta direttamente o la affrontano per motivi professionali e umanitari, con le tante piccole o grandi monomanie che condizionano la vita quotidiana delle persone, come il fumo, l’ordine compulsivo ecc…
Un affresco corale, che parte da un dipinto, in acrilico su tela, che presenta, si legge nel testo critico della psicologa Alessandra Locatelli, “la condizione umana nella sua completa fragilità: la sagoma è nuda, indifesa, privata anche della maschera protettiva dei capelli, e sola. La scelta cromatica graffia il bianco ed il nero scoprendo un imprevisto verde, un’aurea di linfa vitale, un anelito generativo di nuova vita, tuttavia non eterno, caduco, sottoposto al tempo di una clessidra.”
Alla tela seguono due filmati video, girati e montati dall’artista, che diventano “lenti di ingrandimento sul suo stato interiore, tracce della memoria intima alternate fino a fondersi con la memoria collettiva umana. Il vicolo cieco dell’esistenza ripetuta in gesti che non trovano soddisfazione si stringe sulla condizione dell’oggi, permeata dallo scollamento tra l’io e l’es, entrambi contaminati e governati dal super-io.”
L’impatto è duro e coinvolgente, incanta l’osservatore trascinandolo in una sensazione indefinita ma che, l’artista sa, lo porterà inconsciamente a riflettere sulla condizione dell’ossessione: del corpo, del diverso, della malattia, del comportamento, dell’ossessione stessa.
Il risultato sociale potrebbe essere raggiunto ma il viaggio prosegue, con parametri di lettura diversi, più sensibili e attenti.
Con la terza opera, di nuovo pittorica, l’artista compie “un’immersione nel pensiero, tappa necessaria nel percorso di conoscenza; quasi a seguire la teoria della linea di Platone, affonda il pennello calandosi all’interno della lastra psichica, costruita secondo le dissezioni delle tracce mnestiche dell’uomo, trovandovi paure, contraddizioni, disagi e desideri. Un graffito in cui convergono indizi, tracce, segni, riconducibile alla mappa anatomica dell’attività cerebrale”, per approdare alla quarta sezione dell’istallazione, dove affiora la scultura.
Un intreccio di gomma che identifica, scrive Locatelli, “un cervello, nero, amorfo, illogico, sospeso in un’aggregazione futuristica in plexiglass, cola verso la linea più corta di tre microstrutture che sigillano polvere bianca.”
“Ho voluto unire in un’unica scultura il cervello, quindi il pensiero, e l’anima, bianca ma chiodata, separandoli, in modo che non si possano toccare: mi ricorda l’appeso delle carte della divinazione. È l’incomunicabilità che sottende molte relazioni, ridotte all’idea che ogni attore si fa di essa”, spiega Brigitta Rossetti.
Ma l’opera non si ferma qui e, attraverso l’istallazione, ci si propone di disturbare. Lasciando chi osserva libero. Di fare ciò che l’ossessione nega: decidere.
Ecco allora diversi Moleskine appesi, forma di un processo di coinvolgimento degli spettatori della Biennale, che potranno lasciare segni, parole, graffiti secondo l’emozione del momento. Nel primo Moleskine i disegni di Brigitta Rossetti che, nel lungo sviluppo delle pagine unite, traccia uccelli che si trasformano in lunghe figure umane che ne sorreggono altre che si trasformano in piante e cascate d’acqua, richiamando la natura come luogo per affrontare l’ossessione. Negli altri i testi e i disegni dei visitatori, di altri artisti, tra cui spicca il testo di un fotografo che racconta di “una nuvola di fumo creata da ottanta sigarette, in un grande stanzone squallido, colmo di ottanta anime che perse in un movimento circolare attorno ad una grande colonna posta al centro vagavano lì senza meta...
Così mi appariva ventitre anni fa un mondo a me sconosciuto...IL MANICOMIO.
Basaglia cinque anni prima aveva abbattuto le porte di quelle stanze senza tempo e senza senso,
ma non era riuscito ad abbattere l’invisibile muro che la società aveva costruito per dimenticarsi di quelle ottanta anime...Da allora molto tempo è passato e quelle stanze piene di sofferenza sono state abbattute, e quelle ottanta anime stanno cercando di tornare ad essere persone con una propria dignità ...dignità....
che cancelli dalle loro menti quel movimento circolare ed isterico attorno ad una colonna. Dignità che riesca ad abbattere il muro........il pregiudizio.”

http://www.florencebiennale.org/




sabato 31 ottobre 2009

Due piccole cose, ma molto molto belle




Le protagoniste si chiamano Elena Lavezzi e Maurizia Gentili, una fa la libraia e l’altra la pittrice. Elena ha organizzato una mostra nella sua intima libreria; Maurizia lo ha fatto nel Palazzo comunale del suo paese.
Il titolo della prima è “tra le pagine…”; quello della seconda “Castelli in aria”. Cosa le accomuna? Forse nulla, tranne il fatto che sono proprio brave nelle cose che fanno, con molta passione. E il fatto che sono mie amiche, anche se forse non si conoscono. Lo faranno…
Alla libreria BookBank, in Via Venturini 20 a Piacenza – fino al 7 novembre - sono esposti “quadri o meglio riquadri” in cui Elena ha applicato i segni che trova nei libri che lei acquista per poi rivenderli. La sua è una libreria di volumi usati, per questo la ritengo molto intima. Dentro ad ogni libro può capitare una sorpresa, una firma, una dedica, un ritaglio di giornale, una foto. Cose forse dimenticate che ci fanno riflettere sull’inutilità del “sempre”, ma che altrettanto scatenano emozione, curiosità, sogno, ricordi.
Elena ne ha scelti una piccola parte: ricette scritte a mano, cartoline, appunti di un insegnante sui voti della classe. Una lettera d’amore tra Piacenza e Bellaria, di quando si stava al mare per un mese di vacanza. Frammenti di intimità.
Nel castello Scotti, oggi residenza municipale di Carpaneto, Maurizia Gentili ha esposto quindici acqueforti che illustrano, su una magica tonalità color seppia, vinaccia e oro, i castelli del Piacentino e quelli, tanti, che si trovano sul territorio comunale di Carpaneto.
Vale la pena di vederli, anche perché sono dipinti con il vino e fa uno strano effetto guardare una nuvola fatta con il vino, da cui spunta una luna fatta con lamine d’oro che sovrasta i castelli. Per me il più bello è quello di Zena, ma gli altri non sono da meno. Un viaggio nel mistero, nei fantasmi, nel vino non perdere. Entro il 19 novembre.
Luigi Franchi

Per info: Elena 0523650255, Maurizia maurizia.gentili@alice.it

martedì 20 ottobre 2009

La collina in bocca - Luigi Franchi - GL Editore


Tutto è cominciato nell’inverno 2009 quando, dall’ente di formazione Ial Emilia-Romagna, fu proposto all’Associazione “laValtidone” di collaborare alla realizzazione di un corso sul marketing per le aziende della Val Tidone. Trovate le aziende avviene il primo incontro, in una fredda sera di neve, in un agriturismo. Alla presentazione intervenne Luigi Franchi, l’autore di questo libro, che esordì con queste parole «scordatevi che io venga qui, con lavagna luminosa e slide a spiegarvi cos’è e come si fa marketing. La mia idea, in questo corso, è che si riesca insieme a costruire un progetto concreto di promozione per il vostro lavoro.»
L’impatto fu subito positivo, anche perché la prima scoperta fu che imprenditori che vivevano ad un chilometro di distanza in linea d’aria neppure si conoscevano; la seconda scoperta furono le idee, i sogni, le ambizioni e i progetti, oltre alle storie di ognuno di questi imprenditori.
Le storie di queste persone sono raccontate in questa pubblicazione, che non è la solita guida su ciò che c’è da vedere e da fare ma un modo originale di raccontare un territorio, attraverso le scelte di vita di queste persone.
Rimasta ai margini del territorio provinciale per lunghi anni oggi la Val Tidone è forse la più conosciuta, sicuramente la più ricercata per chi vuole vivere davvero un diretto contatto con un ambiente naturale e incontaminato.
Il libro ha il merito di rendere quasi tangibile questa sensazione, raccontando le vite dei protagonisti e fornendo una preziosa mappatura delle produzioni tipiche che si possono trovare nelle loro aziende.
Il titolo nasce da una sorta di brain-storming che Luigi Franchi ha stimolato, nel corso di una delle lezioni, per trovare un nome accattivante in grado di coniugare le specificità del territorio e delle aziende, quel nome è diventato un blog e adesso il titolo del libro.

Valentino Matti

La collina in bocca
Luigi Franchi
GL.Editore
€ 9,00


Su questa riva - Rosalba Scaglioni - GL Editore


I racconti di questo libro costituiscono l’esordio di Rosalba Scaglioni con il suo vero nome. Sono racconti che parlano della gente e della vita di tutti i giorni, che ognuno di noi può scoprire prestando quel briciolo di attenzione in più, rispetto ad una quotidianità fatta di corsa, di disattenzione, di superficialità.
Usano il linguaggio del quotidiano, scritti nello stesso modo in cui si vive nella Bassa, osservatorio privilegiato dell’autrice che lì vive e lavora, dove il ritmo si fa, per forza di cose e del clima, più lento; dove le occasioni di distrazione dalla futilità degli oggetti di rapido consumo si riducono, anche se non si sa per quale motivo.
Una dimensione dei luoghi e del paesaggio portata all’essenziale, con quelle lunghe infinite linee piatte dell’orizzonte, obbliga la fantasia e stimola l’arguzia; nascono così pensieri che si rincorrono, un po’ alla rinfusa, mischiandone la dimensione temporale che si fa racconto, a volte brevissimo, altre troppo lungo ma sempre frutto di quella dimensione lenta e contagiosa riassunta da Giovannino Guareschi “si sta bene qui, su questa riva”.
Il libro inaugura la collana del Concorso Letterario Tenuta Pernice.

Su questa riva
Rosalba Scaglioni
GL.Editore
€ 10,00

venerdì 18 settembre 2009

Domenica 11 Ottobre la prima edizione della Rassegna diLibridiCibidiVini




1° Rassegna “diLibridiCibidiVini” sulle colline della Val Tidone, in provincia di Piacenza
Domenica 11 ottobre 2009, dalle 10 alle 19

La Val Tidone occupa la parte occidentale della provincia di Piacenza, ai confini con l’Oltrepo Pavese, un territorio a forte vocazione vitivinicola con le colline ammantate di vigneti, piccoli borghi, castelli, mulini, agriturismi e ristoranti dove la qualità regna sovrana.
In questa porzione di provincia tredici piccole aziende si sono unite nel dar vita ad un evento decisamente originale: la prima Rassegna “diLibridiCibidiVini”.
Domenica 11 ottobre, in ognuna di queste aziende – cantine, agriturismi, ristoranti, mulini, imprese agricole – vengono ospitati librai ed editori che espongono i loro libri dedicati prevalentemente all’enogastronomia, ma non solo.
In quell’occasione andar per colline in Val Tidone significa acquistare e assaporare libri, magari altrimenti introvabili, ma anche vini, prodotti tipici, piatti della tradizione piacentina, in un paesaggio straordinario. Ogni azienda propone degustazioni, piccoli eventi, visite guidate alla scoperta delle produzioni locali. Inoltre si possono comprare libri usati e nuovi, da collezione o ricettari di ogni tipo. Un piacere per il palato, gli occhi e la mente.
L’iniziativa si svolge dalle 10 alle 19, anche in caso di maltempo, l’ingresso è gratuito.

DOVE SI SVOLGE LA RASSEGNA E GLI EVENTI COLLATERALI

In ogni azienda saranno effettuate degustazioni e visite guidate, oltre agli eventi collaterali sotto indicati

Agriturismo Case Olive
Presentazione del libro: "E la Volpe disse all'Uva"
Questo testo costituisce una chiave d’approccio moderna ed inedita per la lettura delle favole e delle fiabe. L’analisi proposta conta di stabilire un rapporto singolare con il lettore proponendo a quest’ultimo un viaggio nel passato a fianco dei favolisti delle loro difficoltà d’interpretazione della natura originando così un mix di storia, etologia e letteratura che crea un poliedrico interesse e curiosità.
La presentazione è in programma alle ore 17, alla presenza dell’autore Marco Frilli.

Loc. Case Olive – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 861312 - i
nfo@caseolive.itwww.caseolive.it

Agriturismo e Cantina Podere Casale
"Lo shiatsu: le Mani o la Mente?"
Considerazioni teoriche e dimostrazioni pratiche di un'arte orientale osservata da occidente.
La conversazione e le dimostrazioni inizieranno dalle ore 15, a cura di Stefano Lodi e del suo staff. Inoltre sarà organizzata la tradizionale “Merenda del Casale”.
Via Creta Loc. Vicobarone – Ziano Piacentino
Tel. 0523 868302 -
info@poderecasale.itwww.poderecasale.com

Agriturismo Racemus e Cantina Civardi
Festa del mosto d’uva, con degustazione in anteprima del nettare d’uva.
Loc. Montecucco – Ziano Piacentino
Tel. 0523 868112 -
info@civardivini.comwww.civardivini.com

Agriturismo Villa Paradiso
Pranzo in agriturismo e, per tutto il giorno, degustazioni enogastronomiche
Loc. Chignoli 143 – Borgonovo Val Tidone

Tel. 0523 865924 - info@agri-villaparadiso.comwww.agri-villaparadiso.com

Antico Pomario
Località Mula, 146 - Ziano Piacentino
Tel. 0523 469957 - info@anticopomario.it -www.anticopomario.it

Azienda Agricola Il Fucorè
Degustazioni di mieli e formaggi. Presentazione della composta di pere e cannella con la ricotta del caseificio Sociale della Val Tidone. Visite in apiario, a contatto con il mondo delle api
Via San Biagio 189 – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 861284 -
info@ilfucore.itwww.ilfucore.it

Azienda Agricola F.lli Piacentini
Presentazione del libro “Le Ricette di Giuseppina - Un ricettario piacentino di fine ‘800”, alla presenza dell’autrice Elena Januszewski. Una giovane donna, Giuseppina, all'eta' di 15 anni, e' andata "a servizio" presso la famiglia di un notaio a Voghera, dove si trovò coinvolta in un mondo importante, raffinato e prestigioso. Ha imparato a preparare i piatti considerati dei "ricchi", scrivendo le ricette con bella calligrafia in un piccolo libretto.Il libro sarà presentato, alle 11,30, da Guido Torselli.
Via Strada Vecchia 9/B – Ziano Piacentino
Tel. 0523 863259 -
info@fratellipiacentini.comwww.fratellipiacentini.com

Azienda Agricola Ganaghello Vini di Losi e Antico Pomario
Mostra di pittura di Maurizia Gentili: “I Vinarelli”, dipinti con il vino. Degustazione di salumi a cura del Salumificio Grossetti di Pianello, di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena a cura dell’ Acetaia Reggianini di Spilamberto, di dolci della Pasticceria Artigianale Ambrosia. Inoltre l’Antico Pomario realizzerà un’istallazione del Giardino dei Frutti Perduti..
Infine passeggiate per i vigneti e visite guidate all'azienda.
Via Armani 19 Loc. Ganaghello – Castel San Giovanni
Tel. 0523 885206 -
az.agr.ganaghello@virgilio.it – www.ganaghellovini.it

Cantina Az.Agr. Tenuta La Torretta
Mostra del pittore piacentino Leonardo Lambri. Alle 16 presentazione del libro - agenda Adesso, edito da Comunica Edizioni. Sarà presente l’autore Fabio Molinari
Loc. Torretta – Trevozzo Val Tidone
Tel. 0523 997008 -
info@tenutalatorretta.comwww.tenutalatorretta.com

Cantina Az.Agr. Tenuta Pernice
Alle 16 presentazione del Concorso Letterario Tenuta Pernice e del libro di racconti “Su questa riva” GL Editore, scritto da Rosalba Scaglioni presente all’evento.
Loc. Castelnovo Val Tidone – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 860050 -
info@tenutapernice.comwww.tenutapernice.com

Borgo Mulino del Lentino
Alle 16 messa in funzione dell’antico mulino ad acqua, con dimostrazioni pratiche e visite al museo
Loc. Lentino – Nibbiano
Tel. 0523 998307 – 334 9967955 -
info@mulinodellentino.itwww.mulinodellentino.it

Ristorante La Palta
A pranzo e a cena un menu letterario realizzato appositamente per l’evento
Loc. Bilegno – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 862103 -
lapalta@libero.it – www.lapalta.it

Ristorante Le Proposte
Alle 12,30 aperitivo letterario per gli ospiti con la presentazione del libro Ristorantopoli, alla presenza dell’autore Mauro Zucconi
Loc. Corano – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 845503 -
info@ristoranteleproposte.itwww.ristoranteleproposte.it

PER INFORMAZIONI
Associazione laValtidone - Tel. 349 3512045 -
associazione.lavaltidone@email.it

GL.editore - Tel. 331 6872138 -
gl.editore@alice.it

www.lacollinainbocca.blogspot.com

venerdì 14 agosto 2009

più profumi inebrianti che puoi




Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca -raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Kostantin Kavafis
questa è la poesia-storia che mi è girata in testa per tutto il tempo che ho trascorso nella degustazione di un bicchiere di straordinaria e potentissima Malvasia, con una gradazione di 14,5°, con un nome e una storia particolarissima.

L'esperienza l'ho vissuta alla Palta di Bilegno, un ristorante dove il bianco predomina, a cominciare dalle curate amatissime orchidee per finire alla immacolata divisa e al radioso sorriso di Isa, la cuoca di casa.
Forse la poesia di Kavafis che parla di Itaca si sposa idealmente a questo vino che, più di ogni altra Malvasia finora assaggiata, ti ricorda l'origine antica e mediterranea, ti fa immaginare il percorso che i ceppi della vite hanno fatto, nei secoli scorsi, attraverso i mari per trovare posto sulle colline italiane, sull'appennino piacentino attraversato dalle legioni di Annibale.
Sta di fatto che questo vino è impossibile berlo in maniera distratta; la complessità dei suoi profumi è talmente invadente che occupa ogni spazio dei sensi.
Una Malvasia così l'ha voluta Roberto, il marito di Isa e sommelier della Palta, capendone originalità e potenzialità durante una degustazione di questo vino ai suoi albori, nei primi mesi del 2008.



I Colli Piacentini devono molto alla Malvasia, in particolare nella versioni passita che sta delinenando l'auspicata identità di questo territorio vinicolo. Ma Roberto l'ha voluta in altro modo e, insieme al produttore Enrico Sgorbati, lo hanno spiegato in etichetta:
"questo unico vino è frutto di un'attenta selezione di uve Malvasia aromatica di Candia, coltivata in un piccolo appezzamento di soli 0.85 ettari, costituito da 4 particelle catastali (141, 143, 142, 144), dove particolari condizioni di microclima rendono questo prodotto unico e irripetibile. La vendemmia è avvenuta il 12 novembre 2007 e acini ricoperti in parte da muffa nobile sono stati pigiati in modo soffice, fermentando in piccole botti da 225 litri per dodici mesi. Sono state selezionate da Roberto ed Enrico solo 3 botti che hanno prodotto 900 bottiglie."
Sul fronte dell'etichetta il nome del vino: UNA, scritto con un elegantissimo carattere, e una frase di Roberto che dice "una vigna, una varietà, una vendemmia, una mano, una bottiglia racchiude un pensiero".
Viene voglia di suggerire un'aggiunta: "una esperienza davvero unica"!!

Luigi Franchi
La Palta
Loc. Bilegno – Borgonovo Val Tidone
Tel. 0523 862103 - http://www.lapalta.it/

Una tavola lunga un secolo





Bella la mostra, bello il catalogo, bello il luogo ospitante! Stiamo parlando di “Una tavola lungo un secolo: il made in Italy nella storia della cucina italiana del XX secolo”, una mostra curata da Anna e Gianfranco Gasparini, con la consulenza di due mostri sacri della gastronomia italiana Eugenio Medagliani e Paola Ricas, in corso a Milano fino al 25 settembre.Cominciamo dal luogo che la ospita: la Design Library, in via Savona 11. Una struttura, affiancata da un delizioso caffè ristorante, dove sono raccolte le annate di oltre 5.000 riviste internazionali di design, che affiancano libri e importanti donazioni che costituiscono il patrimonio consultabile dagli associati.In questo spazio si tengono mostre, come quella in corso, e incontri ogni giovedì sull’ampia tematica che il design coinvolge. La mostra invece è ricavata in uno spazio interno, suddivisa in otto sezioni esaltate da un sapiente gioco di luci e cromatismi. Le teche in cui sono riposti gli oggetti richiamano le gabbie in legno e fil di ferro in cui venivano riposti appesi in cantina i formaggi e i salumi tagliati, per evitare che i topi abitanti delle cantine facessero man bassa.Ogni sezione richiama all’incirca un decennio, con oggetti derivanti in gran parte dagli archivi Richard Ginori e Ballarini 1889. In rassegna passano un mare di ricordi, sapori e sensazioni tattili. Le sezioni hanno per titoli: il primo Novecento tra povertà e grande cucina; la cucina di guerra; la cucina e il periodo futurista; la diffusione della cultura in cucina; la cucina della trattoria; il benessere e il consumo alimentare diffuso; la nuova cucina italiana; la creatività e la sperimentazione. Un’ultima sezione riguarda la tradizione che si rinnova, dove Richard Ginori e Ballarini 1889 presentano la loro attività di ricerca nel campo delle attrezzature per cucina. Per ogni sezione viene indicato il piatto dell’epoca, ricette riprodotte in piccole sculture di ceramica su un grande pannello: dal timballo di maccheroni alla milanese di Auguste Escoffier al raviolo a mano di Pietro Leemann. Infine il catalogo, rigorosamente in edizione bilingue italiano-inglese, edito dall’editore mantovano Corraini, che riassume ogni dettaglio della mostra, consentendo un approfondimento successivo ad una visita che consigliamo a tutti.Nel catalogo sono ripresi i testi della mostra, tutti gli oggetti con le relative didascalie di approfondimento, le ricette. E’ un libro multifunzionale per chi ama la cucina in ogni sua componente.


Luigi Franchi


Una tavola lunga un secolo
Design Library
Via Savona 11 – Milano
Aperta fino al 25 Settembre
Da lunedì a venerdì dalle 10 alle 18,30
Sabato dalle 10 alle 17
Ingresso libero
Tel. 02/89421225
Catalogo Corraini Edizioni Euro 18,00




Marche e oggetti che hanno unito l’Italia


Si dice che l’Italia è una nazione ancora giovane, nonostante si avvicini il traguardo dei 150 anni dall’unità del Paese (1861-2011), ma leggendo il bel libro progettato da Giulio Iacchetti per Corraini Edizioni viene da pensare che se l’Italia è giovane è perché gli elementi unificanti sono comparsi solo nel dopoguerra e grazie all’avvento della televisione che ha provveduto alla loro divulgazione. Italianità, questo il titolo, racconta trenta storie scritte da altrettanti autori sugli oggetti e sui percorsi che ci unificano. Si comincia con gli spaghetti aglio e olio e peperoncino per finire con il colore delle case cantoniere. In mezzo i racconti di storie e gesti che ogni persona vissuta pienamente tra gli anni 50 e gli anni 90 ha fatto oppure no; come per esempio spedire al signor Panini, in una busta chiusa, i francobolli per ricevere le poche figurine mancanti dell’album dei calciatori. Nessuno ha mai confessato quel terribile gesto di sconfitta!Il libro è ricco di scoperte e di suggerimenti. Tra le tante il nome della donnina del dado Star; si chiama Lucia ed è la moglie del pittore brianzolo Debbia, che la ritrasse sorridente nel 1968. Ma anche che per aglio e olio sono di rigore gli spaghettini al posto dei vermicelli, hanno una superficie di contatto con il condimento quasi doppia e nel piatto se ne contano 269 al posto di 97 vermicelli.


L.Franchi


Italianità
Un progetto di Giulio Iacchetti
AA.VV.
Illustrazioni di Ale+Ale
Corraini Edizioni
Euro 15,00

www.corraini.com

Dove c’è un fiume c’è sempre un ponte..


Leggevo Confini dei Volatori Rapidi mentre accanto avevo l’ultimo numero di Diario, tornato in edicola con una monografia dedicata al termine confine. Mi soffermo sulle parole del geografo Franco Farinelli che afferma “l’autentico effetto della globalizzazione è che la Terra ha imposto finalmente di essere pensata per quello che è, un globo. Noi, per stare tranquilli, abbiamo sempre avuto bisogno di confini: una sfera, invece, di limiti non ne ha”. Forse, anzi sicuramente, le due cose non c’entravano niente ma da quella frase ho iniziato per leggere il libro come una sfera, senza limiti, pregiudizi o condizionamenti. Un ottimo esercizio per capire che ci sono persone che faranno strada nella letteratura. Non c’è una riga fuori posto e, dal momento che non credo che una piccola casa editrice come quella che ha pubblicato il libro dei Volatori Rapidi abbia un potentissimo “ufficio editing”, vuol dire che questo è un libro fatto bene all’origine, con tanto valore in più.Loro, i Volatori Rapidi, sono in sedici, esattamente otto donne e otto uomini, si muovono bene insieme, collezionano premi, scrivono racconti sui quotidiani locali, fanno un sacco di presentazioni ed ognuno mantiene comunque la sua sfera, quella che di limiti non ne ha. Questo costringerà il lettore ad uno sforzo moltiplicatore per seguirli tutti negli anni a venire, ma credo che ne varrà la pena. I loro nomi: Emanuela Affaticati, Giusy Cafari Panico, Angelo Calza, Pietro Chiappelloni, Sergio Cicconi, Agostino Damiani, Francesco Danelli, Chiara Ferrari, Alessandra Locatelli, Elisabetta Paraboschi, Federico Puorro, Doriana Riva, Monia Sogni, Ottavio Torresendi, Melissa Toscani, Luigi Tuveri.

Luigi Franchi

Confini
Volatori Rapidi
Edizioni Domino
Euro 15,00

solobellestorie: 28 settembre 2008, flight QR034

solobellestorie: 28 settembre 2008, flight QR034

sabato 8 agosto 2009

28 settembre 2008, flight QR034


«… passando per i frutteti della Zambonina, dei Marchi, di Ca’ Pilastri, Bondiocca, Sagradello, Colombara, si giunge a Soarza, distante dal Po solo due chilometri e mezzo … Soarza (m.37, 600 abitanti, da Piacenza chilometri 31) è un paese che emerge compatto, in una campagna verde vastissima, con la guglia del suo campanile, gli edifici rossicci che Luigia Picasso Ratto Dall’Orso ha lasciato con circa undicimila pertiche di terra alle opere benefiche di Genova e di Soarza, d’accordo con la figlia Giulia (testamento del 1907) … Nel 1974, per disposizione del pio lascito Picasso, presieduto dal cardinal Siri, terreni e fabbricati sono stati venduti ai fittabili, dopo tre aste infruttuose alle quali si interessò anche il cantante Adriano Celentano».

Così recita l’insuperabile guida antologica “Valdarda e Valchero” di Gianfranco Scognamiglio e Gino Macellari del 1975.Un pezzo di storia che porta a vedere da vicino gli edifici rossicci in cui oggi trova posto l’azienda agricola Cascina Pizzavacca (www.pizzavacca.it) delle famiglie Pisaroni, i fittabili di allora. Sono infatti ben più di cinquant’anni che Angelo Pisaroni lavora quelle terre e quei frutteti, a lui sono succeduti i figli Bruno e Mauro ed ora i figli dei figli: Emanuele e Filippo. Le cascine ospitate in quegli edifici rossicci hanno fatto un pezzo di storia di questo territorio piatto, assolato ma altrettanto generoso nel fornire grano, cereaili e frutta, moltissima frutta. Negli anni scorsi in questi luoghi c’erano i granai in cui venivano stoccati i raccolti di tutti i piccoli agricoltori della zona, per una vendita consortile che garantiva maggior potere contrattuale.Oggi sono cambiate molte cose, cerealicoltura e zootecnia non costituiscono più fonti di reddito adeguate ma i figli dei figli amano troppo queste terre e il loro sentirsi contadini per abbandonarle; dopo gli studi in agraria decidono di restare: Filippo ad occuparsi dell’ortofrutta, Emanuele a pensare al nuovo che da qualche parte deve pur esserci. Il periodo sabbatico lo porta a girare per fiere dell’agroalimentare finchè non si imbatte “in uno stand che commercializza spezie in bottiglie particolari”.Piante ornamentali fu la prima idea, la seconda suggeritagli da Gilberto, il bibliotecario della Cattolica di Piacenza dove aveva studiato, fu la produzione di nettari di frutta e di prodotti dell’orto da preparare secondo le ricette di casa. Tre mesi in giro a cercar tecnologia, cominciando “dal grosso pentolone necessario a preparare la giardiniera della mamma e la salsa verde di nonna Natalina, grande cuoca. – ricorda Emanuele - A sera, per un’intera estate, con la mamma a cuocere a bagnomaria tutte le sei verdure della ricetta, assemblarle con calcolo matematico, assaggiarle e migliorarle”.Poi l’acquisto delle attrezzature necessarie, l’utilizzo della frutta coltivata dal cugino Filippo e dallo zio Mauro, il coinvolgimento di papà Bruno a capo della produzione, e lui in giro a promuovere, far conoscere, creare relazioni e appassionare altri alla valorizzazione di quel territorio piatto, assolato e nebbioso senza misura ma altrettanto generoso.“Un solo punto era fermo in questo tentativo; le scelte produttive dovevano essere serie. – afferma emanuele – Lotta integrata in pieno campo, nessuna stabilizzazione del prodotto, materie prime dei nostri campi o, per prodotti non territoriali come le arance o i pompelmi, di fornitori affidabili, trasformazione in base alla produzione e, soprattutto, il sostegno dell’Università Cattolica di Piacenza, dove sono andato per cercare conforto alla mia idea trovando grande collaborazione”.Ad un certo punto, a furia di lasciare in giro campioni, far assaggiare, raccontare arriva la svolta generata dal passaparola: i nettari della famiglia Pisaroni, oltre alle boutique gastronomiche delle province circostanti arrivano nello show-room di Gucci a Milano.Nell’ufficio di Emanuele campeggia, appoggiato al muro che prima o poi lo vedrà incorniciato, un cartone da imballo con scritte a pennarello che raccontano della telefonata di un certo Ibraihm dal Qatar che gli commissiona una fornitura di nettari di frutta.Le scritte riportano la data del 28 settembre 2008, la sigla di un volo, gli orari di partenza e di arrivo, le modalità doganali e quantaltro.“Ero in cortile e non aveo altro che questo cartone su cui scrivere tutto. Stavo parlando con il referente del sultano del Qatar e non capivo più niente, neppure se era uno scherzo”.Non era uno scherzo, i nettari sono sulla tavola del sultano. Ma adesso sono anche nello spaccio che la famiglia ha aperto per i clienti che diventano ogni giorno di più.

Luigi Franchi



Festival per il piacere dei sensi

Settembre è il mese per eccellenza dei festival dedicati agli approfondimenti tematici, un fenomeno la cui vistosità è iniziata con il Festivaletteratura di Mantova, giunto quest’anno alla sua tredicesima edizione.Il festival nasce nel 1997 sulla falsariga di un’iniziativa che, a partire dal 1988, si svolge in Galles nel paese di Hay-on-Wye, proclamata Booktown, dopo che Richard Booth aprì nel 1961 un negozio di libri usati nella dismessa caserma dei vigili del fuoco a cui, grazie all’immediato successo, seguirono altre aperture.Questo determinò lo sviluppo di una originale formula di turismo culturale della località che sfociò nell’organizzazione di un festival che vide, tra i partecipanti, Bill Clinton oltre ai grandi nomi della letteratura internazionale. A Mantova fu invece un manipolo di intellettuali della città a dar vita al Festival, i loro nomi: Laura Baccaglioni, Carla Bernini, Annarosa Buttarelli, Francesco Caprini, Marzia Corraini, Luca Nicolini (pres.), Paolo Polettini, Gianni Tonelli. Il successo, complice la voglia insoddisfatta di cultura e buone relazioni in quello scorcio di fine secolo, fu immediato. Da allora più di mille venti hanno animato edizioni sempre e solo di successo. Il potere di attrazione di un evento se ben organizzato è altissima; il Festivaletteratura di Mantova, che sposta circa 70.000 persone e che, a fronte di un investimento di 1,4 milioni di euro genera un indotto di 15 milioni di euro. Nei giorni dell’evento, per restare in ambito turistico, la capacità ricettiva di Mantova e delle otto province limitrofe è satura. Ma non è questo il risultato, seppur importante, che deve misurare la forza di un evento: è la sua capacità di far cambiare la percezione dei luoghi, il significato di appartenenza ad una comunità. In pratica l’evento è motore di economia, di interesse imprenditoriale ad investire nel luogo, di motivazione da parte del microtessuto economico a riqualificarsi. Per questo dietro all’evento deve esserci sempre un sistema pubblico capace di plasmare il territorio, adattandone le proprie politiche ad un obiettivo di crescita.Settembre dicevamo, come periodo di maggior concentrazione dei festival di approfondimento culturale, secondo la ricerca di Guido Guerzoni “Effetto Festival”, sostenuta dagli organizzatori del Festival della Mente” di Sarzana, “è il mese prediletto per l’organizzazione delle manifestazioni festivaliere,seguito da aprile, novembre, maggio ed ottobre. Si può pertanto rilevare l’attitudine delle amministrazioni pubbliche e degli operatori turistici a impiegare il format del festival per allungare l’alta stagione, solitamente concentrata nei mesi di luglio ed agosto, riuscendo ad attrarre flussi turistici anche nei mesi immediatamente precedenti (aprile, maggio) o successivi (settembre, ottobre).Dalla pressoché totale assenza di eventi nei mesi di luglio e agosto si evince, inoltre, l’attenzione degli organizzatori a evitare i periodi di maggior affluenza turistica, sia per fuggite spiacevoli episodi di congestione nei piccoli centri che ospitano le manifestazioni, sia per sfruttare più intelligentemente le ricadute economiche legate al festival in periodi meno felici dal punto di vista delle entrate turistiche, sia per evitare la confusione con i numerosi pseudofestival organizzati in molte località balneari e montane, che spacciano per festival eventi più simili alle sagre e alle feste”.Si stimano ormai in 170 i festival che attraversano la penisola nel corso di un anno, di cui una trentina oggetto dell’indagine di Guerzoni, segnalati sulla base di parametri che ne determinano valenza culturale, armonia tra il titolo e i contenuti, qualità degli eventi e del sistema di accoglienza e dei servizi. Un elenco prezioso che vogliamo mettere a disposizione dei lettori: BergamoScienza (Bergamo), Città Territorio Festival (Ferrara), Comodamente (Vittorio Veneto, Tr), Con-vivere (Carrara), Extramoenia (Giardini Naxos, Me), Fantasiofestival (Perugia), Festival Biblico (Vicenza), Festival dell’Arte Contemporanea (Faenza, Ra), Festival del Diritto (Piacenza), Festival del Mondo antico (Rimini), Festival della Creatività (Firenze), Festival della Matematica (Roma), Festival della Mente (Sarzana,Sp), Festival dell’Architettura (Parma, Modena e Reggio Emilia), Festival dell’Economia (Trento), Festival Meditaeuropa (Ravenna), Festival Filosofia (Modena), Festivaldella Filosofia (Roma), Festivaletteratura (Mantova), FestivalStoria (Saluzzo, Cn), I Dialoghi di Trani (Trani, Ba), Le Parole, I Giorni (Poggibonsi, Si), Parole in gioco (Urbino), Perugia Science Fest (Perugia), Piemonte Share Festival (Torino), Pordenonelegge (Pordenone), Ravello Festival (Ravello, Sa), Scrittorincittà (Cuneo), Torino Spiritualità (Torino), Vicino/Lontano (Udine), Women’s Fiction Festival (Matera).

I festival di settembre


Festival della Mente di Sarzana – www.festivaldellamente.it
dal 4 al 6

Festivaletteratura di Mantova – www.festivaletteratura.it
dal 9 al 13

Festival della Filosofia a Modena, Carpi e Sassuolo – www.festivalfilosofia.it
dal 18 al 20

MITO SettembreMusica tra Milano e Torino – www.mitosettembremusica.it
dal 3 al 24.



Luigi Franchi

In questi posti davanti al mare


Che amasse il mare forse non lo sapeva dal momento che aveva solo pochi giorni quando, nata in un paese della Bassa, i suoi genitori la portarono per i suoi primi quaranta giorni in una casa davanti al mare della Liguria.Che un giorno sarebbe diventata pittrice, Lorenza Cavalli lo ha sempre avuto chiaro fin dal primo giorno di scuola, in cui dichiarò che avrebbe fatto l’accademia. Così è stato: liceo artistico a Cremona, accademia a Brera.Il suo primo “catalogo” venne fatto a sua insaputa, l’ho scoperto quando gli ho chiesto cosa pensava di lei l’insegnante di educazione artistica delle medie. “Che strana domanda mi fai. - si stupisce Lorenza mentre tira fuori dall’album mentale dei ricordi il nome dell’insegnante. - Si chiama Emanuela Grande ed era entusiasta dei miei disegni, al punto che l’ho rivista dopo anni e lei mi donò una piccola pubblicazione curata da lei in cui i miei disegni illustravano le poesie di Ilda Bottoli, il titolo è “Il paese dei disegni”.”Da quel “catalogo” si può datare la storia artistica di Lorenza che oggi è una esponente di quella corrente del realismo magico che vede tra i maggiori protagonisti Edward Hopper e Felice Casorati, mentre nella scrittura trova la sua espressione nella cultura latino-americana dei vari Jorge Luis Borges, Gabriel Garcia Marquez, Isabel Allende, Juan Rulfo, ma influisce anche nei testi di Italo Calvino, Milan Kundera, Gogol’ e Kafka.Ma cosa c’entra il mare con tutto questo? Il mare entra nei suoi quadri, invade ogni spazio insieme al cielo, interrotto solamente dal vento che gonfia le vele delle barche che spezzano un segno che altrimenti sconfinerebbe nell’infinito. Lorenza è donna di acqua, di sole, di vento. L’ho capito osservandola durante l’intervista, realizzata sotto i portici di Busseto in una giornata di luce immobile, mentre non riusciva a stare ferma con i suoi belli capelli continuamente mossi dal movimento delle sue mani. “Sono tornata a parlare con i miei quadri pochi mesi fa. – mi confida – Non li sentivo più miei, facevano parte di una fase della mia vita che era giunta al termine, svuotati di ogni significato. Una mattina sono andata nello studio e ho parlato con loro, mi hanno ricordato che è il desiderio che crea la nostra esistenza; da quel momento tutto è cambiato. Sono tornata davanti al mare a fermare con la fotografia le vele al vento e le ho riportate sulle mie tele. Ho fatto una seconda mostra allo Yacht Club di Milano, con le mie tele di mare e di vele, dopo la prima fatta nel 2007.”Nel frattempo Lorenza è ritornata dopo anni a vivere nella sua terra, a Samboseto in “quella borgata desolata e primitiva” come la descrisse Mario Soldati nel 1957 parlando di Peppino Cantarelli e della sua “bottega fuori dal tempo e dal mondo in cui erano esposti grandi vini francesi”. “Non so se e quanto mi fermerò ma qui riesco come in nessun altro luogo a trovare lo straordinario nel quotidiano”. Che sia qui l’essenza del realismo magico? In questi posti davanti al mare nel cuore della pianura.


Luigi Franchi

La Biblioteca di Busseto: aperta da più di duecento anni ogni domenica mattina

Anno 1537, il padre francescano Giovan Antonio Maiavacca da Busseto dei Minori Osservanti patrocina la fondazione del Monte di Pietà avvenuta per volontà dei marchesi fratelli Girolamo, Ermete e Francesco Pallavicino; l’istituto aveva il compito di svolgere azioni di sostegno e beneficenza, a cui si aggiunsero nel corso del tempo quelle di promozione culturale. Anno 1768, il duca Don Ferdinando di Borbone, sovrano del Ducato di Parma e Piacenza, espelle i Gesuiti dal
suo Stato confiscandone i beni, tra cui il ricco patrimonio librario; i libri del Collegio di Busseto e Fidenza furono concentrati presso il Monte di Pietà e Abbondanza, da cui nasce il primo fondo della biblioteca del Monte di Pietà.Anno 1960, il Monte di Pietà e Abbondanza si fonde con la Cassa di Risparmio di Parma, che volle dare nuovo impulso alla cura del Palazzo e della Biblioteca. Verso la fine di quel decennio la direzione della biblioteca viene affidata al professor Corrado Mingardi, che ne accompagna tuttora la crescita. Al momento del suo insediamento la dotazione era di circa 5.000 volumi, mentre oggi si aggira intorno ai 65.000, con preziosissime rarità a cominciare dal fondo librario dei Gesuiti, composto fra l’altro da venti incunaboli e 480 cinquecentine, a cui si aggiungono numerose edizioni bodoniane, opere sei-settecentesche di medicina e scienze naturali e l’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert.Un simile patrimonio richiede un luogo altrettanto prestigioso e le sale della biblioteca, ricavate nel palazzo del Monte di Pietà costruito tra il 1681 e l’82 su progetto dell’architetto ducale Domenico Valmaggini, su commissione di Ranuccio II, assolvono al compito in maniera eccelsa. Nove sale e tre magazzini, le principali arredate con scaffali di legno intagliato dei secoli XVIII e XIX, accolgono tre mezze giornate alla settimana chiunque voglia trascorrere alcune ore immerso in uno dei veri piaceri della vita: i libri. Ad accogliere gli ospiti il personale qualificato e il professor Mingardi, un “uomo di libri” come ama definirsi. Ogni giorno, da quarant’anni, il professore passa in queste sale, ne raccoglie gli umori e l’infinito piacere, ne impara ancora oggi i piccoli segreti che vi sono racchiusi nelle migliaia di pagine lunghe cinque secoli.“Sono all’incirca 9.000 i prestiti annuali e circa ottocento le persone iscritte a questa biblioteca che, è bene ricordarlo, è pubblica ma non civica; l’istituzione, pur svolgendo funzioni di biblioteca aperta a tutti, fa capo alla Fondazione Cariparma che ne sostiene tutte le spese di mantenimento e gestione. – spiega Corrado Mingardi – Gli utenti del servizio sono comunque ben più numerosi degli iscritti e arrivano da tutta la Bassa parmense e dai comuni piacentini limitrofi”.Quest’anno il professor Mingardi festeggia il quarantesimo anniversario di questo rapporto straordinario con la Biblioteca bussetana, quarant’anni di gestione sapiente i cui risultati sono agli occhi del mondo. Lo scopro mentre mi accompagna in giro per le sale dell’attiguo palazzo del Monte di Pietà, visitabile su richiesta, dove le sale sono rimaste immutate negli anni, con la quadreria e gli stessi arredi d’epoca, come il tavolo e le sedie su cui i consiglieri dell’epoca erogarono una borsa di studio triennale al giovane meritevole Giuseppe Verdi che potè, in siffatto modo, completare la sua formazione di musicista e compositore a Milano. Lo stesso Verdi, negli anni della maturità, ripagò il Monte con alcuni lasciti. Non ci resta che fare i migliori auguri al professor Mingardi e alla biblioteca di Busseto, suggerendo una visita davvero emozionante e ricca.


Luigi Franchi

La Crepa di Isola Dovarese


La piazza, soprattutto di sera, ti fa capire l’importanza che ebbe l’estetica in questi territori a ridosso del Po tra Cremona e Ferrara in cui regnarono corti illuminate come quelle dei Gonzaga e degli Estensi; edificata tra il 1587 e il 1590 per volere di Giulio Cesare Gonzaga ancor oggi è un’emozione, a maggior ragione se la visione la si coglie dalle finestre e dal portico della Crepa, il caffè enoteca ristorante dei fratelli Malinverno, collocato in un bel palazzo del XV secolo che si affaccia sulla piazza.Estetica che si mescola al buon gusto gastronomico è il massimo dell’esperienza che si possa fare. Il buon gusto alla Crepa vuol dire ambienti di classica eleganza che lasciano trasparire l’amore per la musica, vuol dire personale educato, vuol dire piatti che uniscono tradizione e ricerca possibili solo se la materia prima è di qualità straordinaria.Non ne cito neppure uno di questi piatti perché voglio essere il garante della sorpresa e dello stupore che si prova la prima volta che ci si accomoda ai tavoli della Crepa. Mentre cito la carta dei vini, frutto della riconosciuta storia dei fratelli Malinverno nel mondo del vino; ricca, molto ricca di proposte, che si possono acquistare nell’enoteca, insieme ad un’accurata selezione di prodotti gastronomici. Infine non parlo del loro gelato se non per dire che, da solo, vale il viaggio.


Luigi Franchi


Caffè Enoteca Ristorante La Crepa

Piazza Matteotti, 14

Isola Dovarese (CR)

Tel. 0375/396161

www.caffelacrepa.it

La Caffetteria del Palazzo a Cremona

La data di fondazione di Palazzo Trecchi è il 1496, così come ci riferisce lo storico cremonese del Seicento Giuseppe Bresciani il quale attribuisce all’architetto Giovan Donato Calvi, anch’egli cremonese, il progetto della nuova dimora.
Oggi il Palazzo è un centro molto dinamico di vita sociale e culturale che ospita congressi, ricevimenti, incontri culturali, mostre, oltre a proseguire nella sua attività di Centro studi di medicina veterinaria..All’interno trova posto un delizioso locale in cui ci si rifugia per godere veri e propri momenti di benessere: la Caffetteria del Palazzo. Aperta esattamente tre anni fa da Mila (le due note musicali, ama definirla suo marito Walter, consigliere delegato della società che gestisce le attività di Palazzo Trecchi), la Caffetteria si sviluppa in due accoglienti sale dove vengono proposte le migliori selezioni di bevande, dai caffè ai vini.Ma il “veramente bello” è il piccolo cortile giardino sul retro, un’autentica oasi di pace da cui ci si separa a fatica una volta seduti ad uno dei tavoli. Dentro e fuori, in diversi momenti dell’anno, vengono organizzati dei piccoli eventi di alta qualità, dalle degustazioni alle letture e alla musica.Mila e Walter, friulana e piemontese, arrivano da numerose esperienze nel settore alberghiero e l’impronta che hanno dato alla Caffetteria risente positivamente della loro visione del mondo: aperta e accogliente.


LF


La Caffetteria del Palazzo

Via Trecchi 20

26100 Cremona

Tel. 0372/406008

www.palazzotrecchi.it

Agriturismo Battibue

Ci si arriva percorrendo una bella lineare strada frequentata solo da persone che passeggiano in aperta campagna, a pochi minuti dalla città di Fiorenzuola d’Arda. L’entrata è costeggiata da alberi e recinti di cavalli e i primi a darvi il benvenuto sono gli animali da cortile che vagano in piena libertà.Un luogo che predispone al relax, uno dei buoni motivi per cui si sceglie una vacanza nella campagna piacentina.La fattoria è stata completamente restaurata senza cambiare nulla della sua struttura originale, a cominciare dall’antica ghiacciaia sovrastata dagli alberi secolari.Finalmente un vero agriturismo, verrebbe da dire; di quelli in cui i proprietari sono ancora veri contadini, nel senso più nobile che si può dare a questo mestiere fondamentalmente per l’umanità. Qui i rapporti tra cliente e gestore sono basati sulla stretta di mano, quella che basta per garantire fiducia e disponibilità reciproca.L’agriturismo Battibue mette a disposizione cinque camere, due bilocali con cucina attrezzata, una stanza biblioteca-ludoteca, un giardino per la lettura e un parco giochi per i bambini. E alle ore dedicate al cibo si può fare colazione o merenda nel verde del grande giardino d’estate, al calore di una sala con il camino d’inverno.Pranzi e cene sono scanditi da un trionfo di piatti e vini della tradizione piacentina, in due sale: una ricavata nel vecchio caseificio, i famosi caselli ottagonali della pianura emiliana, l’altra più piccola per piccoli gruppi.


tel. 0523/942314

domenica 19 luglio 2009

Un viaggio nella memoria


Può sorprendere che un’artista, il cui futuro è inevitabilmente proiettato in una dimensione internazionale, introduca nella sua carriera un ciclo di opere legate alla storia locale. Ma non in questo caso che invece esprime al meglio la matrice che sta alla base del lavoro di Brigitta Rossetti: il luogo.
Oggi si fa un grande uso del neologismo del non-luogo, coniato dall’antropologo Marc Augè, ovvero quegli spazi non identitari in cui le persone si incrociano senza relazionarsi mai. Mentre tutta l’opera pittorica di Brigitta Rossetti si muove fortunatamente in controtendenza, affermando la dimensione antropologica di spazi e figure.
Nei quadri che accompagnano la felice intuizione di Stefano Frontini di dar vita, attraverso opere in cera, ad un museo della storia piacentina coniugandolo all’arte contemporanea, ritroviamo il lucido legame che Brigitta ha con i luoghi in cui ama lavorare.
Sono luoghi in cui il silenzio si fa potente, lascia parlare il vento e le nuvole, lascia alla forza della terra affermare i cicli della vita, fa del ricordo e dell’immaginazione una costante.
Un’identità che si legge nel ciclo dei “guerrieri” che Brigitta ha realizzato dove i volti sono appena accennati nella loro grazia, i corpi che si fanno possenti sembrano gonfiati dal vento, i tratti e i colori riportano alla terra, luogo d’origine della vita in tutte le sue forme.
In alcune di queste opere si ritrovano segni che richiamano le prime pitture paleolitiche di Lascaux, fatte dall’uomo circa 15.000 anni fa. Non è immutabilità ma conferma che alla terra, alla forza della natura, alla potenza espressiva dell’uomo va riconosciuto sempre e comunque un valore, che Brigitta Rossetti porta dentro.
In questo ciclo pittorico diventa evidente come l’uomo, un popolo continuino a vivere anche dopo la loro stessa vita, il loro percorso storico; questo avviene quando la loro forza lascia il segno, trasformandosi in mito e idea, che si fanno memoria.
Questa è il vero punto di forza del connubio tra le opere di Brigitta Rossetti e il museo che le ospita. E’ un viaggio nella memoria, quella antica che bisogna proteggere, che non si può disperdere, che ci ricorda il nostro ruolo qui, su questa terra.
Le opere oggetto di questa ricerca presentano un contenuto prepotentemente atmosferico, dove una forza di gravità soprannaturale tiene sospeso un messaggio, come se l’affermazione di Leonardo da Vinci che “il pittore è padrone di tutte le cose” qui trovasse il suo preciso riscontro.
L’artista domina i suoi guerrieri, li veste con i colori della terra, gli infonde, pulsante, l’energia positiva del messaggio che gli vuole affidare: dalla terra si raccoglie energia, voglia di vita, e alla terra dobbiamo guardare se vogliamo che il mondo, tutto il mondo torni ad essere un mondo migliore.

Luigi Franchi

www.brigittarossetti.com

Alfredo, Amedeo e Fabrizio Magnani, produttori di Culatello


Nel 1967 aveva 29 anni e, mentre il mondo si stava apprestando a diventare sempre più urbanizzato e metropolitano, Alfredo Magnani decideva di acquistare un podere a poca distanza dal suo negozio in quel di Roccabianca; quel podere si chiamava Brè del Gallo, tradotto in italiano “prato del gallo”.
Da lì Alfredo non si è più mosso, lo ha lavorato, lo ha trasformato, vi sono nati e cresciuti i figli Fabrizio e Amedeo, vi sono stati prodotti Culatelli straordinari con una regola: restare piccoli!
Piccoli inteso come dimensione produttiva, quel piccolo che consente di fare bene le cose perché si può dedicare la cura necessaria, dare un valore al tempo perché è l’ingrediente fondamentale per fare i Culatelli straordinari.
Il rustico che sorge sul podere del Brè del Gallo ha le caratteristiche ideali per vivere bene e far crescere e maturare bene i prodotti: mura spesse delle case rurali che consentono il giusto equilibrio tra caldo e freddo, le cantine di stagionatura esposte a nord, con le finestre tipiche della bassa che vengono aperte ogni mattina per prendere quell’umidità dell’alba che fa grandi i Culatelli. Infine i pavimenti bagnati con acqua e vino per garantire la costanza dell’umidità.
Questi gli ingredienti; ad usarli sono Alfredo, Fabrizio ed Amedeo, con l’aiuto del loro norcino di fiducia, il Vito Fanfoni, conosciuto come uno dei migliori sulla piazza.
Il risultato? Milleduecento Culatelli strepitosi ogni anno, non uno di più ne’ uno di meno. “E’ una scelta, non ho mai cambiato regola e non intendiamo farlo neppure ora – raccontano padre e figli – Per noi il Culatello resta il prodotto che ci identifica e non vogliamo aumentarne la produzione ma la qualità.”
Più di così, all’assaggio, sembra impossibile aumentare ancora in qualità ma questa è un’altra storia. Evidentemente si può e ci limitiamo a crederci ed aspettare un’altra occasione di assaggio.
Conversare con la famiglia Magnani è un piacere che porta alla scoperta di una sorta di autarchia agricola. Amedeo si occupa a tempo pieno dell’azienda, collaborando con il norcino ma soprattutto curando le sue piccole grandi passioni: le centoquaranta biolche di terra che lui si coltiva da solo.
Fabrizio fa il veterinario e Amedeo il responsabile qualità in Parmalat. Ma ogni sera, al termine del lavoro, e ogni sabato e domenica vengono qui, al Brè del Gallo, a fare i lavori che servono per mandare avanti l’azienda, a gestire i rapporti con una clientela solida e di fiducia, ad accogliere gli ospiti sempre più numerosi.
Ed è con gli ospiti che i ricordi vengono condivisi, amplificando una memoria del territorio che è patrimonio culturale come quando si racconta che il Culatello non lo mangiava la famiglia contadina che lo produceva ma lo vendeva al “mediatore” che, in ogni paese, conosceva tutte le aziende agricole. Era il prodotto di scambio per poter ricomprare il maiale per l’anno successivo. Questa è solo una delle tante storie che vengono raccontate sotto l’accogliente portico di Brè del Gallo, tra una fetta di Culatello, una di Spalla Cruda e un bicchiere di Fortana, prodotta dalla famiglia Magnani in tremila bottiglie.
Le altre riguardano il modo di produrre che si sono dati: antiche e laboriose ricette come quella del loro cotechino dove ci finiscono dentro musetto, muscolo, lingua, cotiche, spalla e aromi segretissimi ma naturali.
“Vogliamo difendere queste ricette che richiedono infinita pazienza e estrema cura e selezione delle materie prime. – dicono insieme i tre Magnani – Per questo siamo convinti che sia importante mantenere una piccola dimensione. Vogliamo continuare a vivere questa esperienza come un vero piacere.”
Nel corso della conversazione arriva la mamma e moglie, figlia di quel Gustein (Agostino Tamburini), grande amico di Giovannino Guareschi. Amico a tal punto che Giovannino gli disse “Gustein, a San Francesco bisogna c’at ma porti te cul camion”.
Bisogna che mi porti tu con il camion a Parma, al carcere. Era il 26 maggio 1954 e Guareschi decise di andare di sua iniziativa in carcere per essere completamente scagionato dalle accuse ingiuste.
E, all’improvviso, escono le foto del tempo e affiorano altre storie da ascoltare. Si diventa ricchi dentro al Brè del Gallo.


Luigi Franchi

Vincere ogni mattina


Il piacere comincia dal profumo di pasticceria appena sfornata che ti assale quando parcheggi a pochi metri, sul piazzale antistante le terme; è primissima mattina, il momento ideale per intervistare un pasticciere, ha appena finito le sue prime cinque ore di lavoro, è soddisfatto del risultato, lo sta toccando con mano come ogni mattina mentre i primi avventori ordinano croissant, cornetti, bignè, cannoncini.
Mentre parliamo sta verificando la consistenza della pasta per i croissant da preparare per il giorno dopo, si muove rapido con la sfoglia che taglia a triangolo isoscele, con un attrezzo pensato apposta. Poi le mani si muovono rapidissime a formare il classico cornetto.
“Sembra ripetitivo, ma ogni mattina è diverso, dalla consistenza della pasta alla lievitazione. Non esiste un giorno uguale all’altro mentre si impasta, si dosa, si fanno le diverse forme dei dolci e dei biscotti” racconta Claudio Gatti, pasticciere da 37 anni, mentre invita all’assaggio dei croissant del giorno.
Ma le vere specialità di Claudio sono altre, veri trionfi di bontà: la Focaccia, un dolce dalla forma di panettone che per Pasqua assume le sembianze della colomba, che prima di offrirsi agli occhi dei suoi estimatori viene lavorata per oltre 30 ore; il Pandolce all’olio, prodotto rigorosamente con ingredienti biologici, di qualità controllata, con il Brisighello, il delizioso Olio extravergine d’oliva DOP di Brisighella.
La scelta di utilizzare materie prime a Denominazione d’Origine lo ha fatto entrare nel pool di aziende selezionate per partecipare a Deliziando, l’iniziativa di scambio commerciale con i mercati esteri organizzata da Unioncamere e Regione Emilia-Romagna.
Mentre racconta quest’ultima cosa a Claudio Gatti brillano gli occhi di soddisfazione; è il meritato riconoscimento alla meticolosità con cui seleziona le materie prime per le sue creazioni.
Dopo quindici anni di gavetta e apprendistato, cominciato a 16 anni, nelle pasticcerie Salsi e Tosi a Salsomaggore Terme, nel 1988 Claudio decide il grande passo, come hanno fatto tutti i capaci artigiani nel corso dei secoli: aprire la propria bottega.
Nel suo caso un bar-pasticceria con laboratorio annesso a Tabiano Terme, sulle colline parmensi, a ridosso delle fonti termali. In queste giornate d’estate una distesa di tavolini ben ombreggiati invita al relax, alla conversazione contornata dalle squisitezze artigianali.
E’ talmente piacevole che non fatichiamo a capire perché da qui Claudio si è allontanato solo per frequentare ogni possibile corso di specializzazione, con i grandi maestri della pasticceria italiana, Iginio Massari e Achille Zoia in primis.
“Continuo anche ora perché non bisogna mai pensare di essere arrivati” afferma Claudio mentre mi spiega il suo credo che si basa sul fatto che un buon prodotto di pasticceria lo fanno due cose e basta: la lievitazione e la mano del pasticciere.
“Non esiste una standardizzazione nella pasticceria artigianale, ogni mattina è una scommessa, con il tempo, con l’umore, con la reazione delle materie prime. E vincere questa scommessa ogni giorno rende impagabile questo mestiere.”
Una delle cose che amo fare durante le interviste è sollecitare il ricordo e Claudio mi svela la sensazione di quando ha venduto la sua prima Focaccia oltre i confini della pasticceria; è stata acquistata da una gastronomia di Collecchio. Da quel momento è cominciato un passaparola che lo ha portato a fornire le migliori boutique gastronomiche di Parma e Milano ma soprattutto a spedire le sue creature in Svezia, in Norvegia, in Germania.
Ma, nonostante il successo internazionale, lui continua ogni mattina alle quattro a tirar su la saracinesca del suo laboratorio con l’obiettivo di vincere la scommessa.


Luigi Franchi

Pasticceria Tabiano
Viale alle Fonti 7
Tabiano Terme (Pr)
Tel. 0524/565233
www.pasticceriatabiano.it

Pronto Almandina?


“Pronto? Sono il direttore di Terre Verdiane News. Vorrei parlare con qualcuno del Teatro dell’Almandina.”
“Sono Daniela, la presidente.”
“Bene, allora parlo con lei. Sul prossimo numero di Terre Verdiane inizia una rubrica sugli artisti e vorrei aprirla parlando della vostra compagnia. Lei mi sembra la persona più indicata.”
“No, no. La persona più indicata è Chiara, la mamma del progetto. Le do il numero.”
“Pronto Chiara? Sono il direttore di Terre Verdiane. Sul prossimo numero di Terre Verdiane inizia una rubrica sugli artisti e vorrei aprirla parlando della vostra compagnia. Daniela mi ha detto di parlare con lei che è la mamma del progetto. Ci possiamo vedere?”
“Ma no, siamo tutte coinvolte. Sia io, che Daniela, che Francesca. Non è giusto che sia solo io a parlarne.”
Sembra l’incipit di una pièce ma è cominciato proprio così il primo dialogo con quelle dell’Almandina.
Alla fine l’intervista è stata “una e trina”, mai successo, per cui a parlare sono tutte insieme, all’unisono Chiara, Daniela e Francesca; tre donne accomunate dalla passione per il teatro che, dopo essersi incontrate a diversi laboratori teatrali hanno deciso di provarci.
I loro spettacoli hanno un sapore retrò fin dai titoli – Garibalderì, La Magda e la Wanda le sorelle Guerazzi, La Magda e la Wanda fanno il cinéma, Angelina, Dancing da Ines - sono divertentissimi, non hanno attori maschi.
“Ma non per partito preso”, puntualizzano Chiara, Daniela e Francesca. “Finora ci sono venute in mente idee che non prevedevano figure maschili.” Quasi quasi mi candido per un provino, penso e poi glielo dico.
“Almandina ha una grande musicalità – dicono le tre socie – Solo dopo che lo avevamo inventato, abbiamo scoperto che esiste già ed è il nome di una pietra semipreziosa, la cui proprietà è tenere a terra quelli che amano viaggiare sulle nuvole.”
Ovviamente non fa per loro che tracimano entusiasmo da tutti i pori mentre mi raccontano trame, ruoli, progetti futuri. Ma la domanda banale è di rito: perché avete scelto di fare teatro?
La risposta invece banale non è. “Per trasformare i nostri difetti in pregi”, rispondono, e non c’è verso di avere risposte diversificate. “Ogni nostro spettacolo trae spunto da mondi marginali. Uno dei primi è nato incappando in una banda che accompagnava una cerimonia in piazza a Fidenza, in cui era presente Anita, la nipote del signor Garibaldi.”
La loro presentazione nel sito http://www.teatroalmandina.org/ recita così: “ci piacciono le storie un po’ sbilenche, irregolari, capaci di inceppare il meccanismo del luogo comune e d’innescare uno sguardo singolare sul mondo.”
A noi piace andarle a vedere.


Luigi Franchi

Felice di aver creato qualcosa di bello e di buono


Ci sono migliaia e migliaia di caratteri di stampa, in piombo e in legno, ci sono macchine e torchi per la stampa che risalgono al 1822, ci sono manifesti che per farli ci volevano due giorni di lavoro tra composizione e stampa, e poi c’è lui, Gian Carlo Vecchi, tipografo per cinquant’anni, ed oggi custode del Museo della Tipografia Libassi, in quel di Noceto.
Il Vecchi che, per dar vita al museo dopo che il Comune aveva acquistato i cimeli, queste macchine le ha ripulite pezzo dopo pezzo, che i caratteri li ha rimessi in bell’ordine uno per uno e che racconta, con l’entusiasmo di un bambino, la storia della tipografia ai ragazzi delle scuole in visita, gli fa una lezione pratica di stampa e risponde alla mia banale domanda se gli è piaciuto fare questo mestiere nel modo più ovvio: “non sarei qui”. Negli anni scorsi gli dette una mano il suo amico e compagno di lavoro Amos Papotti, oggi scomparso.
Insieme idearono i nomi dei caratteri dove, al posto dei classici Bodoni o Times o altri, misero i nomi di film e opere, di cui erano appassionati; da qui nacquero i caratteri Rigoletto, Semiramide, Toscanini, Quarto Potere, Totò ecc…
La storia della Tipografia Libassi comincia nel 1924 quando Fernando Libassi, all’età di dodici anni, comincia ad imparare il mestiere alla Tipografia Castelli; nel dopoguerra diventa socio e, nel 1963, Castelli, ormai anziano, gli cede l’attività. Da quel momento la tipografia di Libassi diventa La Grafica Nocetana.
Vecchi iniziò il lavoro di tipografo nel 1945, anche lui a dodici anni, e rimase alla Libassi fino al 1953, per poi andare a stampare presso il Laboratorio Caricamento Proiettili.
“Vede quel manifesto appeso? Fu il mio primo lavoro.” Il manifesto recita testualmente:
Noceto Associazione Calcio
Campo Sportivo
Domenica 24 corr. alle ore 13
Avrà luogo l’attesissimo incontro di campionato 1° divisione
S.P. PESENTI (attuale capolista del girone)
NOCETO A.C.
“Io ho composto Noceto A.C.”, ricorda Gian Carlo. Era il tempo in cui un mestiere lo si imparava così, con molta precisione e molte prove sul campo.
“Ma il piombo era dannoso?” chiedo. “Ci davano obbligatoriamente mezzo litro di latte da bere ogni giorno per evitare questo rischio” racconta il Vecchi mentre mi illustra le antiche macchine da stampa, pesantissime, lentissime pensando alla tecnologia attuale.
Mi incuriosisce un manifesto degli anni Settanta di cui conto le righe: ottantadue!
“Per fare questo manifesto ci voleva un giorno intero di composizione. Mentre questa Nebbiolo faceva 1200 manifesti all’ora; quando è arrivata in tipografia sembrava di guidare una Ferrari, rispetto alle altre macchine per la stampa.”
In questo originale museo lo sguardo non sta fermo un attimo, si è catturati da cassettiere sottili in cui riposano migliaia di caratteri e di filetti. “I caratteri più grandi, oppure i clichès venivano fatti con il legno perché la lega di piombo e antimonio li rendeva troppo pesanti. Il legno prediletto era il pino di Svezia, più morbido da manipolare per fare le varie tipologie. Ogni sera bisognava rimettere i caratteri in maniera ordinata nelle cassettiere per facilitare il lavoro del giorno dopo.”
La bellezza estetica delle macchine come l’ottocentesco torchio Dell’Orto, con i piedi a zampa d’elefante e lo scorrimento a rotaia, oppure come i clichès e i caratteri dalle forme più strane, è la sensazione più immediata che lascia una visita al Museo Libassi.
Ma quella più duratura è il racconto che Gian Carlo fa della sua professione, inevitabilmente fusa con quella della sua vita che, tra le tante cose, lo vede ancora adesso protagonista del coro I cantori del Mattino di Noceto, con cui gira il mondo per esibirsi.
Le ultime informazioni riguardano gli orari di apertura: il martedì, il mercoledì e il venerdì al mattino; per altri giorni è consigliabile telefonare all’Ufficio Cultura del Comune di Noceto 0521.622137.
Non perdetevi questa scoperta!

Luigi Franchi

Nicoletta Barbieri La forza delle idee


“Mi viene naturale, ma è una forza che probabilmente è in tutte le persone. Per chi, come me, a cui le persone hanno assegnato un ruolo pubblico, è un dovere farla crescere e offrire a tutti questa opportunità.”
Stiamo parlando con Nicoletta Barbieri della forza delle idee; ed è sinceramente inusuale ma molto piacevole scoprire il valore dell’umiltà nelle parole di un politico oggi.
Ma Nicoletta, pur avendo una giovanissima età, ha conosciuto la politica nella sua dimensione più nobile, crescendo in famiglia a pane e politica fin da ragazzina quando accompagnava il papà a distribuire l’Unità facendolo poi in modo autonomo negli anni a venire, e lavorando in una cooperativa. Ma non è una donna del passato, anzi...
Oggi lei è assessore al Comune di Fiorenzuola, un’esperienza cominciata con la precedente amministrazione, e si occupa di cultura e di politiche giovanili. Un settore, quello della cultura, che lei definisce in maniera chiara: la cultura non può essere personalizzata né privatizzata ovvero questione di qualcuno.
“Le persone si stanno disabituando ad esprimere le loro opinioni, i loro suggerimenti. Mentre io ogni giorno mi ricordo che devo imparare e allora chiedo, cerco di capire i bisogni, di conoscere più da vicino le persone e il territorio in cui devo amministrare; cercando di mettere in circolo che le mie idee e condividere quelle degli altri.”
Questa volta, ma in realtà sono ancora molti e per fortuna i bravi amministratori, queste dichiarazioni sono tangibili e gli atti lo dimostrano. Nella sua gestione degli eventi Nicoletta non sale sui palchi, lascia che a parlare siano i protagonisti, gli artisti, ma anche le persone che partecipano agli eventi, con il loro consenso, con gli applausi e soprattutto con i suggerimenti, di cui è avida.
Soprattutto è concreta la regola delle pari opportunità per tutti, un criterio che non è tra i più divulgati in Italia. “Io credo che sia fondamentale offrire a tutti la possibilità di una crescita personale sul piano culturale. Le mie scelte, condivise con i colleghi amministratori e con larga parte dell’opinione pubblica locale, vanno in questa direzione senza applicare la regola di tutto un po’. Sono scelte dettate da un’idea: non vivere di preconcetti ma costruirsi delle opinioni, E da una convinzione: che non si governa la cultura ma il contrario.” Il tessuto sociale di questa città avrà ancora lunga vita.


LF

Il viaggio


“La vita stessa è ricerca di un punto fermo. E quando si crede di averlo raggiunto, non si è e non si sa ancora nulla. E bisogna ricominciare a muoversi..è questa l’idea di partenza.” Così il regista Wim Wenders parla della sua visione del viaggio, che si ritrova in alcune pagine del libro di Laura Gambazza che descrive così le sue sensazioni: “ogni viaggio è stato uno strepitoso insieme di incontri inattesi..un ulteriore arricchimento che porterò sempre dentro di me…”
Nel libro si narra di Sara, studentessa emiliana che, partita recalcitrante, in Etiopia trova l’amore che la farà restare laggiù. Una storia ricca di emozione che si fonde con la descrizione della valle dell’Omo, scoperta dall’esploratore parmense Vittorio Bottego alla fine dell’800, che vi morì nel viaggio di ritorno.
Nella valle vivono numerose etnie tra cui la Mursi, dove le donne portano il piatto labiale.
Laura Gambazza è appassionata di storia, archeologia e botanica e questo viaggio l’ha affascinata a tal punto che si è cimentata nella sua opera prima; un’esperienza ben riuscita grazie alla freschezza e alla spontaneità di linguaggio. Adesso altri viaggi l’attendono e, ci auguriamo, altri racconti che “riempiono fogli bianchi con la fantasia ed il cuore” attendono i suoi lettori.
Il cuore in Etiopia
Laura Gambazza
SBO Edizioni
€ 18,00

Estate!!


E’ la stagione che ognuno di noi carica di significato; quelli che vogliono divertirsi, quelli che sognano di trasgredire, quelli che si ritirano sulla montagna più alta, quelli che si innamorano, quelli che accentuano il senso di solitudine e via di questo passo.
L’estate che vogliamo augurare a tutti è quella più bella, quella che comincia con l’invadente profumo dei tigli in fiore e prosegue nelle giornate in cui tutto è più lento, quasi ozioso. L’invito è di approfittarne per lasciar venire alla luce buoni pensieri, per praticare buone relazioni, per imparare da un libro, da un concerto, da una conversazione una nuova visione del mondo che lentamente si sta imponendo.
E’ finito il tempo in cui tutti abbiamo vissuto sopra le righe; ne stiamo pagando lo scotto, in maniera pesante, per alcuni drammatica, ma da questa lezione dobbiamo trarre un vantaggio. Quello di non tornare indietro, di non ricadere nell’errore del tutto e subito, della esasperata facilità dei consumi, della superficialità nelle relazioni.
Davanti a noi abbiamo l’opportunità di ripensare uno stile di vita e l’estate è l’occasione migliore per farlo. Il suggerimento che ci sentiamo di dare è farlo partecipando; i territori di cui parliamo offrono mille occasioni per praticare la partecipazione.
Recentemente ho avuto l’occasione di visitare “Il cielo in una stanza”, la bellissima mostra fotografica di Prospero Cravedi all’Urban Center di Piacenza; mi auguro che se ne possa trarre un libro che rimanga, perché è un pezzo di storia importante per tutti. Davanti a quelle fotografie ho rivissuto gli anni in cui partecipare era d’obbligo, ma soprattutto era bello e utile. Riproviamoci, con un nuovo entusiasmo, su basi nuove, magari semplicemente varcando la soglia di una piazza e fermarsi ad ascoltare una musica.
Basta scorrere il programma degli appuntamenti estivi di Parma e Cremona, piuttosto che i Diciottoeventi di Salsomaggiore, per scoprire che non bisogna andare molto lontano per provarci e per stare bene. Basta scegliere uno dei luoghi di incontro, tra ristorantini, castelli, enoteche e piazze descritti in questo numero per cancellare il timore della solitudine che, a volte, in estate si fa più pesante.
Sono luoghi ed eventi che ci permettono di diventare più ricchi dentro. Facciamolo, ne vale la pena.


Luigi Franchi

La Locanda di Cremona, 0372/457834 facile da ricordare


La storia della Locanda di Cremona vanta almeno ottant’anni tra servizio di osteria, di albergo, di bar e fors’anche di bordello. A metà degli anni Settanta era famosa per il risotto della Franchina che, intorno alla mezzanotte, soddisfaceva gli avventori.
Ma la storia più bella è quella che compie vent’anni il prossimo 18 novembre! Fu in quella data del 1989 che i “fratellissimi” Guglielmo e Paolo Baldini riaprirono il locale e da allora, puntualmente ogni giorno, i due si ritrovano in sala ad accogliere una clientela che, dopo la prima volta, diventa come per magia fedelissima.
Il trucco c’è! Loro sono l’esempio di come deve essere un ristorante: un sorriso e una battuta per tutti, la difesa della discrezione quando serve, la forzatura nel convincere il cliente a superare alcune fisse che gli impediscono di assaggiare un determinato piatto, offrendoglielo e cambiando portata nel caso non sia di suo gradimento. Attenzione a non imbrogliare, se il piatto viene spazzolato con scarpetta annessa vuol dire che è piaciuto.
A questo si aggiunge uno chef che dalla cucina ogni giorno manda in tavola piatti quasi sempre diversi: una vera fucina creativa, che garantisce qualità delle materie prime e alcuni evergreen come le gustosissime costolette di agnello presalè.
Il locale è piccolo, pochi coperti che consigliano la prenotazione, un bancone anni ’50 da cui Guglielmo estrae poche ma ottime etichette, una sala contagiata dal buon umore di Paolo che racconta il menu scritto ogni giorno in stampatello sul bloc notes formato quaderno. Chissà se quei foglietti, negli ultimi vent’anni, li ha tenuti tutti.
Vale il viaggio, come dicono le guide, anche perché si può approfittare delle nove camere al piano superiore, a cui si accede tramite una balconata di ringhiera.
Luigi Franchi