lunedì 5 gennaio 2009

Massimo Spigaroli, l'artigiano del gusto


La prima volta che l’ho incontrato, dieci anni fa, mi ha guardato con la diffidenza che hanno quelli che lavorano ad un’idea geniale e temono che il primo sconosciuto gliela porti via. Ma questa diffidenza è durata pochi minuti e da allora è nata una solida robusta stima e amicizia.
E da quell’idea geniale, apparentemente irrealizzabile, oggi un’intero territorio ne trae i benefici.
Siamo nella Bassa parmense, in quella zona molto umida e un tempo molto depressa, dove si produce il più straordinario dei salumi: il Culatello di Zibello.
Dieci anni fa non se ne trovavano che pochi pezzi, la grande industria aveva fatto man bassa delle cosce di maiale per farne prosciutti, si faticava meno a venderli alle grandi imprese che mettersi pazientemente, in ogni mattino d’inverno, ad aprire e chiudere finestre di vecchie cantine per fare entrare nebbia ed umidità; requisiti indispensabili per un buon culatello.
Ed è proprio in quegli anni che Massimo Spigaroli ha deciso di provarci. Dapprima ha riunito una decina di piccoli produttori in un’associazione, con loro ha avviato il percorso per ottenere la DOP avuta nel 1996. Poi ha dato vita al Consorzio di tutela ed oggi, tra i quattordici produttori del Consorzio, i culatelli sono passati da 600 a 20.000. Tutti indiscutibilmente buoni!
Massimo è uno chef, un produttore, un agricoltore, ma soprattutto un leader tra la sua gente. Nel 2000, in occasione dell’ultima esondazione del Grande Fiume, fu lui a chiamare a raccolta gli abitanti per difendere le case e le persone a ridosso degli argini. E solo dopo aver fatto questo si occupò di portare in salvo i suoi salumi, riuscendoci perché a loro volta le persone lo aiutarono.
“Durante le terribili giornate del 17/18 Ottobre 2000 in tanti davano per spacciato l'abitato di Polesine Parmense. – racconta Massimo - Gli unici sicuri del fatto che ancora una volta il Grande Fiume si sarebbe fermato al momento giusto erano i nativi del Paese. E così è stato! L'argine maestro pur con tutti i problemi che l'accompagnano,non è stato varcato. Se fosse stato necessario noi tutti si sarebbe lavorato per giorni e giorni a riempire sacchetti di sabbia senza mai fermarsi.
Ci si diceva sugli argini:nel 2000 non è possibile che l'acqua abbia la meglio sulle nostre capacità e sulla nostra ostinazione! E poi.il Po è nostro amico e gli amici non tradiscono mai!! Nel 1951 i nostri vecchi riuscirono a salvare le proprie case in condizioni ambientali e di attrezzature ben più critiche. E noi avremmo dovuto cedere? Mai e poi mai..”
Ma questa è solo una delle tante piccole grandi storie che contraddistinguono la vita e il lavoro di Massimo. Ed è la conferma di come la passione per il proprio lavoro porti a superare ogni difficoltà; un atteggiamento che è tipico degli artigiani, e in quelli del gusto ancora di più.
Fare un buon culatello non è cosa facile. Intanto bisogna selezionare la razza più idonea e Massimo, dopo aver provato a tenere allo stato semibrado, nei suoi boschi di pioppo lungo il Po, diverse specie di maiali, da quello dei Nebrodi alla cinta senese, dal suino pesante alle razze olandesi, ha deciso che il maiale se lo sarebbe fatto lui.
Ha recuperato una razza, il Nero di Parma, ormai in estinzione, ha allevato due cuccioli alcuni anni fa ed ora ha una grande famiglia di maiali neri.
“Mentre cercavo tracce del maiale nero il verdetto dei più era unanime: “razza completamente estinta”, quindi reperimento impossibile! – racconta Massimo Spigaroli - Però un giorno il dott. Pietro Tanzi, originario di Rocca di Varsi, un paesino arroccato sull’Appennino, mi racconta di una foto della fine degli anni quaranta, che ritraeva sua nonna insieme ad una scrofa nera coi suoi maialini. Comincio allora la “caccia”, mi precipito sul luogo, ma irrimediabilmente trovo i soliti suini bianchi e magri. Allora scendo le colline arrivando in Toscana, lì la razza nera la conoscono in molti, ma nessuno ha un esemplare da farmi vedere e tanto meno da vendere. Estendo le ricerche alle Marche, all’Abruzzo ed al Molise ma niente da fare! Ricevuta qualche “dritta” proveniente da esperti del settore, decido di dare un’occhiata anche in Spagna, mi dirigo a sud destinazione Jabugo terra del mitico “pata negra”, il prosciutto più famoso al mondo, ed in quella zona dai monti brulicanti di maiali al pascolo, acquisto tutti i libri sull’argomento.
Dalle foto e dai riscontri su animali reali scopro che sono simili ai neri dei miei racconti ma non hanno le cosiddette “tettole”: Su informazione di un allevatore locale apprendo che nella penisola iberica di razze nere ce ne sono ben dodici con diverse varianti. Non solo, il mio interlocutore mi dice di ricordare che una di esse ha le famose protuberanze… è quella che vado cercando! Lavorando con la mente riesco anche a capire il motivo dell’antica presenza di questa razza spagnola nel solo territorio di Parma e Piacenza, i Borbone! Sì, erano stati proprio i nobili iberici, per molti anni signori indiscussi delle due province, ad importare questi maiali ritenendoli migliori di quelli già presenti.”
Da quelle carni ricava il suo culatello migliore, quello che si trova nelle boutiques gastronomiche di Milano, Roma e Parigi; quello delle tavole dei grandi chef come Fulvio Pierangelini o Antonio Santini; quello del suo ristorante Cavallino Bianco, dove si vive tutto e fino in fondo lo stile di vita della Bassa.
“Quando assaggio i culatelli, le spalle,i salami e il lardo salato, tutti ottenuti secondo le vecchie tradizioni, quasi mi commuovo. Sono meravigliosi! I profumi e i sapori che sprigionano hanno il potere di farmi tornare bambino! L’esperimento è perfettamente riuscito, i miei sforzi e il mio tempo non sono stati buttati via.” conclude Massimo. Ed ora, da quando dieci anni fa ebbe l’idea geniale, i suoi culatelli sono a stagionare nelle cantine del Castello dei Pallavicino, dove Massimo andava a giocare da bambino ed oggi ne è il proprietario, assieme a suo fratello Luciano. Un luogo di delizie dove, dopo aver assaporato il gusto sublime dei salumi di Massimo, si può anche riposare in una delle sei suite ricavate nelle antiche stanze, cullati dal silenzio maestoso del Grande Fiume.

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