lunedì 5 gennaio 2009

L’agricoltura eroica


Solo per raggiungere Lenzari significa capire cosa significa “l’agricoltura eroica”; siamo alle spalle di Albenga, affacciata su di un mare che sta accogliendo le primissime luci dell’alba, e ci addentriamo nella Valle Arroscia per raggiungere la zona di produzione dell’aglio di Vessalico.
A pochi chilometri da una costa strainvasa dal turismo, incontriamo paesini dove il tempo si è davvero fermato: luoghi con un unico negozio che fa uso delle antiche licenze “coloniali” del dopoguerra, punto di riferimento per ogni necessità, dal giornale alle mollette per il bucato, dalla pasta alle bombole del gas. Altro che megacentri commerciali, qui nello spazio di poche decine di metri è concentrato ogni genere commerciale corrispondente alle effettive necessità.
Da zero a cinquecento metri sul livello del mare, percorsi in una manciata di chilometri, su una stradina che si inerpica stretta e ripida tra tornanti e uliveti, che sembrano anche loro affaticati, come se avvertissero gli sforzi caparbi degli agricoltori di questa terra che, per secoli, hanno strappato alle pietre lo spazio per sopravvivere alla fame, coltivando uva, ulivi, ortaggi; a volte per praticare scambi commerciali tra terra e mare, spesso per l’autoconsumo.
Arriviamo all’agriturismo Le Gemelle che albeggia ma questa è la condizione obbligatoria per chi, come me e il fotografo Max Conti, decide di raccontare il cibo che si produce e si muove tra le quattro e le sette del mattino.
In alto, in un luogo apparentemente inaccessibile troviamo questa struttura con poche camere ma sempre frequentate d’estate, dove vive e lavora una delle famiglie che compongono la Cooperativa “A resta”, piccolissimo manipolo di produttori dell’aglio di Vessalico. Il nome della cooperativa è il termine dialettale della treccia.
Un aglio antico, come testimonia la Fiera omonima che si svolge il 2 luglio di ogni anno sul prato di Canavia a Vessalico, dal 1760. L’aglio di Vessalico ha una caratteristica che ci ha spinto ad inserirlo tra i prodotti di Sunrise Fodd; si raccoglie alle primissime luci del giorno perché il gambo resta morbido e consente di intrecciarlo.
“Lo raccogliamo a partire dalla notte di San Giovanni, la notte della rugiada, e proseguiamo fino al giorno della fiera – ci racconta Francesca Castellari, intrecciatrice di aglio dall’infanzia, circa mezzo secolo orsono – quando lo raccogliamo il bulbo del nostro aglio è rosso, poi seccando diventa bianco. Lo prepariamo nelle trecce, fatte con tredici teste d’aglio. Tanti anni fa le teste per ogni treccia erano 25, oggi sono più piccole per una richiesta del mercato.”
La vediamo al lavoro, seduta sul prato del suo agriturismo, mentre il sole che abbiamo visto un’ora fa sorgere piano dal mare riesce a bucare le montagne e illuminare fievolmente il suo lavoro; le mani di Francesca si muovono con un’abilità consumata, ogni due minuti una treccia.
“Faccio questo mestiere da cinquant’anni, assieme a mio marito, che si occupa della coltivazione. – prosegue Francesca – Prima di sposarmi abitavo nella vallata accanto, con più gente, con più negozi, poi sono arrivata quassù e dopo i primi tempi ho cominciato ad apprezzarne la quiete.”
Coltivare l’aglio è una pratica antica che si ripete sempre uguale da secoli: stiamo parlando di un prodotto vivo che richiede tempi ben definiti di piantagione e di raccolta, che subisce gli influssi della luna. Se lo si tocca di luna nuova l’aglio patisce, va lavorato solo di luna vecchia e la maggior parte del raccolto dell’aglio di Vessalico se ne va per il mantenimento del seme, che si tramandano da intere generazioni. Oggi si producono circa 5.000 trecce di aglio ogni anno, il 30% del raccolto si perde per bulbi di dimensioni troppo piccole o muffe che lo intaccano.. Ovviare a queste perdite sarebbe possibile ma i produttori hano scelto la strada del biologico, consapevoli che la qualità naturale vale ben di più della perdita di una parte del raccolto, pur consistente.
“Carlin Petrini venne quassù da noi nel 2000, durante l’estate e si appassionò alla nostra determinazione di mantenere in vita questo prodotto, estremamente povero e sottoposto ad una concorrenza internazionale che si basa sulle grandi quantità produttive. – continua Francesca, mentre le trecce si accumulano sul prato – Da quella visita iniziò il percorso che ci ha portato ad essere Presidio Slow Food.”
Tecniche di coltivazione naturali, come l’erba che si strappa a mano nei campi recintati per impedire che i cinghiali li devastino con il loro passaggio. La semina avviene tra ottobre e novembre, da quel momento inizia una cura quasi maniacale del germoglio che cresce lentamente, bagnato solo dalla pioggia naturale perché i campi sono talmente impervi che diventa molto difficoltoso innaffiarli, fino alla tarda primavera per poi essere raccolto e trattato con la cura che merita un prodotto che ha sfidato secoli di storia.
I cinque soci della cooperativa condividono ogni scelta, si sentono profondamente legati a questo prodotto e progetto, a tal punto di scegliere di vivere qui, in alta Valle Arroscia, dove gli echi del consumismo e della frenesia arrivano attenuati, filtrati dai negozi con licenza “coloniale”, dove la regola è quella del tempo scandito dai cicli naturali del mondo e dall’abilità ad interecciare l’aglio all’alba, tredici bulbi ogni due minuti.

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