lunedì 5 gennaio 2009

Là dove il mare luccica


“Mi raccomando, arrivate entro le 19 che ci imbarchiamo”, con questa raccomandazione ci organizziamo per raggiungere il porto di Oneglia in tempo utile. Arrivati in prossimità della cittadina ligure ci comunicano che la partenza è spostata alle ventidue “perché gioca l’Italia.”
Che fare? Intanto si scopre un pezzo di città; molto marinara, per certi edifici ricorda alcuni porti dell’Africa del Nord. Effetto della bellissima luce che accompagna il tramonto e che lascia presagire una notte tranquilla in mezzo al mare.
Poi si cerca il peschereccio tra i tanti che sono attraccati. “Imeia”, l’antico nome di Imperia, è il segno di riconoscimento. Trovato; l’aspetto un po’ precario mi preoccupa ma sarà superato dalla perfetta organizzazione che troverò a bordo di lì a poco. Ed ora? Si cena e si aspetta.
Alle 22 arriva Mario Gentile, presidente della Cooperativa di pescatori con cui affronteremo la lunga notte. Saliamo a bordo e mi metto in un angolo ad osservare tutte le manovre per l’uscita in mare aperto. Ognuno ha un proprio ruolo: Massimo, Luigi, Mario, Marino si dividono i compiti, chi alla guida, chi alle reti, chi alle barchette che verranno calate in mare per spingere il branco di pesci verso la “lampara”, così si chiama la rete che racchiude in forma circolare la parte di mare dove viene sospinto il pesce e che dà il nome a questo tipo di pesca.
“Sono diversi anni che le alici non arrivano più da noi in grandi branchi – racconta Mario, tra un ordine dato in un incomprensibile dialetto e il caffè sorseggiato, fatto con la moka nel piccolo spazio dedicato alla cucina – Questo è il periodo migliore, tra fine maggio e giugno. Poi dovremo diversificare la nostra pesca perché a luglio arrivano totani, palamite, calamari. L’acciuga ha un buon mercato se grossa, ideale per la salagione ma ce ne sono poche per cui anche il prezzo è abbastanza interessante.. Non riusciamo a sapere cosa succederà stanotte, ogni volta è diverso ed è sempre una sorpresa. A volte amara, quando si pesca poco.”
Ogni notte fuori, in mare. A me viene in mente “là dove il mare luccica e tira forte il vento..” del Caruso di Lucio Dalla ma, in realtà, questo è un lavoro tra i più faticosi del mondo dove, per i piccoli pescherecci, la tecnologia non ha soppiantato la fatica fisica del far scendere le reti e ritirarle su, pesantissime con il pescato.
Il romanticismo con cui ho coltivato l’idea di questo viaggio svanisce rapidamente con l’umidità della notte, con le onde che muovono la barca, con il rumore causato dai generatori posti sulle barchette che vengono calate in mare assieme ad un marinaio che, su ognuna, ha il compito di indirizzare il branco.
“Non si esce mai con la luna piena – racconta uno dei marinai – perché altera la luce artificiale che abbiamo sulle barche e che serve ad attirare il branco.”
Eccolo, un nutrito branco di pesce azzurro si avvicina alla luce della barca. Le barchette si avvicinano e si allontanano dal peschereccio, spingono il branco dentro la rete, ne vanno a cercare altro, il cerchio poco alla volta si restringe. Mi fanno allontanare perché “qui tra poco sarà un diluvio di acqua” non capisco “se il cielo è limpido” cerco di accennare timidamente quando uno scroscio occupa tutto lo spazio del peschereccio. Sono passate tre ore e si è issata la prima “lampara”. Scarso bottino. Il dialetto si spreca e non oso chiederne la traduzione!
Siamo a sole due miglia dalla costa, le luci sulla terraferma cominciano a spegnersi una dopo l’altra, sono le due di notte e gli uomini dell’equipaggio stanno stendendo le reti circolari per la seconda volta. Nessuno ha una gran voglia di parlare: il silenzio è rotto solo dal rumore assordante dei generatori a bordo delle barchette e il buoi dalle luci che gli stessi alimentano. Mi siedo a prua, l’unico angolo buio e silenzioso; verso le quattro mi raggiunge Mario, “la vedi quella stella che è spuntata, la più luminosa? Quando cala i pesci vengono in superficie e, quando sono tanti, saltano anche sulla barca. Ma temo che questa notte non sarà così.”
Ci mettiamo a parlare del mercato delle acciughe, le cassette da dieci chili si vendono sul mercato del pesce a Savona tra i 30 e i 60 euro al chilo, dipende da pezzatura e da quantità dell’offerta. Un commercio che si perde nella notte dei tempi e che ha dato vita alle grandi vie di comunicazione tra mare e terra, allo scambio tra acciughe e olio, tra sale e spezie. Forse quello dell’acciuga è uno dei primi esempi di contaminazione culinaria.
“Al rientro in porto ci saranno anche alcuni dettaglianti e anche i privati che ci compreranno qualcosa. Una certa parte viene riservata ai ristoratori del posto, ma il grosso viene messo sui camion che ci aspettano per raggiungere i mercati.” racconta Mario.
Sono le quattro, è tempo di tirare su la rete per l’ultima volta. Non è andata meglio ma loro, i marinai, non sembrano particolarmente arrabbiati; forse sanno fingere molto bene oppure sanno che domani è un altro giorno.
Comincia la seconda fase, che accompagna il rientro in porto. Con il cellulare si inizia la contrattazione con il mercato (sono le quattro e trenta), ci si fa un altro caffè e poi si comincia a suddividere, nelle cassette di legno da dieci chili, il pescato. La maggior parte sono alici, ma ci sono anche tonnetti, polpi, calamari, ricciole e merluzzetti.
Un rumore assordante cresce attorno a noi e, mentre comincia ad albeggiare, ci ritroviamo circondati da decine e decine di gabbiani che si tuffano con il becco in acqua per acciuffare i pesci che vengono scartati.
Una lunghissima scia bianca di ali e di spruzzi che accoglie il sorgere del sole. Il porto si fa vicino, è già animato da autisti, pescivendoli e pensionati. Mi viene da pensare che è più bello, per un pensionato, vedere una barca che rientra in porto che non un escavatore che interra i cavi della luce.
Salutiamo Mario e i suoi mentre si stanno preparando la colazione, a base di pesce azzurro, in porto prima di andare a dormire. La luce continua ad essere bellissima.

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