domenica 19 luglio 2009

Il Novecento di Bertolucci rivive nelle Piacentine


Il luogo, per chi ha almeno cinquant’anni, è collegato alle riprese di Novecento, il film di Bernardo Bertolucci girato nel 1976, che racconta la cultura contadina e la lotta di classe: Le Piacentine, perfetto esempio di corte padana e della vita comunitaria che vi si svolgeva, oggi è un luogo che, grazie al sapiente lavoro di recupero effettuato, svolge un’importante funzione di memoria e genera una sensazione di pace.
Fino a mezzo secolo fa in questa corte nei pressi di Roncole Verdi, come ben rappresentato da Bertolucci, vivevano decine di famiglie, di quelle numerose, con le porte di casa sempre aperte, con la condivisione di umori, litigi, lavoro, solidarietà.
Un mondo che non esiste più, sostituito da unità abitative che, anche quando sono ricavate in vecchi edifici rurali, hanno porte blindate, sbarre alle finestre e tra vicini di casa ci si conosce a malapena.
Per queste antiche corti padane si dovrebbe vincolare il rilascio della licenza edilizia alla condizione di vivere secondo normalità.
Ma torniamo alle Piacentine e alla sua storia che risale al 1820, da sempre azienda agricola chiamata “Corte delle piacentine”, una grande aia in centro lastricata di cotto originale del tempo. L’aia, nelle case coloniche, era uno spazio antistante o, come in questo caso, il centro dell’edificio, dove si batteva il grano, nel periodo della mietitura.
Un centro attorno a cui si sviluppava la vita delle famiglie che vi abitavano, dalle prime luci del mattino a notte fonda, nelle sere d’estate. Sull’aia si celebravano i banchetti nuziali, le feste patronali o quelle legate al ciclo delle stagioni. Ma sempre lì ci si incontrava, i bambini numerosi, si rincorrevano, ci giocavano, si picchiavano salvo poi tornare a fare pace, come le famiglie. La convivenza forzata era un deterrente straordinario per placare gli animi.
Ma la particolarità delle Piacentine è la sua perfetta integrazione con il paesaggio circostante, un paesaggio dove la mano dell’uomo, da millenni, ha inciso profondamente condizionandone profondamente l’utilizzo e la memoria. Come scrive Monica Bruzzone, assegnista all’Università di Parma, nel suo saggio “Allestire le identità culturali…” «Una delle più antiche e maestose modifiche che ancora oggi segna i campi coltivati nella pianura padana appartiene all'epoca romana. Nella divisone dei terreni agricoli i romani hanno effettuato una partizione artificiale del territorio, fatta di linee rette ortogonali tra loro, punteggiata da bassi muri di pietra, da filari di alberi, da percorsi e canali. L’agro centuriato è il paesaggio artificiale che contraddistingue la pianura. Esso colpisce, se lo si osserva dall’alto, per la fortissima eterogeneità di colori e di toni che scandisce il terreno in maniera fortemente artificiale. Una rettificazione imponente che cambia la fisionomia di intere regioni, eppure resta un segno silenzioso a livello del terreno, mentre gli elementi verticali che lo definiscono, sono i filari degli alberi, le torri colombare delle corti agricole, ma anche le incisioni dei canali di irrigazione. Segni di piccola scala, che si rapportano efficacemente con la misura del paesaggi».
Camminando ai lati della perfettissima struttura quadrangolare delle Piacentine, davanti alle case che un tempo erano dei contadini, lungo i porticati che ricoverano gli attrezzi, oppure passando davanti alla casa padronale viene da pensare come un luogo possa assolvere alla funzione di valorizzazione dei valori territoriali e culturali. Viene da immaginarsi le storie di cui sono impregnati i muri e il cotto dell’aia: storie semplici, di gente semplice che faceva leva sulla memoria orale per tramandare esperienza e storia delle genti. Ma comunque storie uniche.
Adatte ad arricchire il valore di unicità che l’ottimo lavoro di restauro ha restituito alle Piacentine, che può costituire un primo passo verso la possibilità di mettere in scena vocazioni del passato come opportunità di sviluppo.
Del resto la struttura si trova nel cuore di un territorio, la Bassa Parmense, che sul passato sta costruendo il proprio presente economico e culturale. La dimostrazione arriva dalla capacità di identificarsi ancora con il Mondo Piccolo di guareschiana memoria, piuttosto che di incentrare la propria identità sulla particolare gastronomia del luogo.
LUIGI FRANCHI


Le Piacentine raccontate da Lorenzo Molossi
Lorenzo Molossi nel suo «Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla» Parma 1832, a pag. 460, così scrive intorno al cascinale delle Piacentine:
«Nel luogo delle Piacentine, lungi un miglio all'est della Chiesa di Roncole, sulla strada da Busseto a Soragna, si sta costruendo una grandiosa villeggiatura da S. E. il Sig. Principe D. Giovanni Vidoni de Soresina, personaggio non meno chiaro per sangue che per la liberalità dell'animo e per le cognizioni apprese sul libro del mondo di cui egli ha percorso la maggior parte.
Gli edifici sono divisi su quattro lati attorno ad una grande ala. Sorge dalla parte di mezzodì il palazzo del Signore ove si ha la vista delle colline e su questo stesso lato si innalzeranno e l'Oratorio e una vasta bigattiera con altri servizi; dalla parte opposta vedesi l'ampia stalla il cui volto è tutto sorretto da colonne di granito; sugli altri due lati stanno le case e del fattore e dei villici con varie botteghe. Tutto è disegno e direzione del celebre architetto Vogherà, cremonese, il che dire dispensa da qualunque elogio dell'opera».
In appendice al volume del Molossi sono riprodotti gli schizzi della pianta e delle sezioni di questa imponente costruzione che nella mente del Principe Vidoni doveva costituire, in quei tempi, un modello di stabilimento agrario con annessa residenza padronale.

1 commento:

  1. mi piacerebbge leggere qualcosa sul "Colombarone" di sant'Antonio di Castell'Arquato dove ho passato la mia infanzia d mulino bianco negli anni 55/60 !
    Grazie

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