Una rassegna di grande livello qualitativo, dove davvero vien voglia di dire “Se non è arte questa…”. Seicentocinquanta artisti, da 78 paesi, per 2000 opere esposte; uno sguardo sul mondo di straordinario impatto emotivo. Tra le cose che mi hanno colpito di più i lavori di Agnieszka Kurek, Kiki Fleming, Lisa Davis, Esteban Morales, Al Wildey, Charly Martinez, Eileen Chan, Eugenia Esteban, oltre all’artista piacentina Brigitta Rossetti.
“L’arte deve disturbare. La scienza deve rassicurare.” Lo scriveva George Braque e questa frase sintetizza al meglio la creazione dell’opera che Brigitta Rossetti ha scelto di presentare alla Biennale di Firenze: il titolo dell’istallazione è Entering the obsession.
L’obiettivo duplice: l’inizio di un viaggio che potrà condurre alla scoperta come alla sconfitta, attraverso un percorso dall’esperienza visibile comune al mondo intellettivo ed intellegibile individuale; la necessità dell’artista di sensibilizzare su uno dei mali più sottili dei nostri anni, l’ossessione appunto.
L’istallazione racchiude più opere e più tecniche in un’unica imponente rappresentazione, come a voler dare libertà alla poliedricità dei suoi metodi di lavoro e di passione: pittura, videoinstallazione, scultura, poesia in un insieme di segni, gli stessi che richiamano un paragone, forse arduo ma azzeccato, con un’affermazione di Eraclito, “non sarebbe affatto meglio se le cose andassero come gli uomini desiderano. A meno che non ti aspetti l’imprevedibile, non troverai mai la verità, perché è arduo scoprirla e arduo realizzarla. La natura ama nascondersi. L’oracolo di Delphi non parla né nasconde: dà semplicemente dei segni”.
Entering the obsession è il frutto di un lavoro dove Brigitta Rossetti si è misurata con il suo passato, con le esperienze che quotidianamente si presentano ai nostri occhi a cui non prestiamo la giusta attenzione, con persone che l’ossessione l’hanno vissuta direttamente o la affrontano per motivi professionali e umanitari, con le tante piccole o grandi monomanie che condizionano la vita quotidiana delle persone, come il fumo, l’ordine compulsivo ecc…
Un affresco corale, che parte da un dipinto, in acrilico su tela, che presenta, si legge nel testo critico della psicologa Alessandra Locatelli, “la condizione umana nella sua completa fragilità: la sagoma è nuda, indifesa, privata anche della maschera protettiva dei capelli, e sola. La scelta cromatica graffia il bianco ed il nero scoprendo un imprevisto verde, un’aurea di linfa vitale, un anelito generativo di nuova vita, tuttavia non eterno, caduco, sottoposto al tempo di una clessidra.”
Alla tela seguono due filmati video, girati e montati dall’artista, che diventano “lenti di ingrandimento sul suo stato interiore, tracce della memoria intima alternate fino a fondersi con la memoria collettiva umana. Il vicolo cieco dell’esistenza ripetuta in gesti che non trovano soddisfazione si stringe sulla condizione dell’oggi, permeata dallo scollamento tra l’io e l’es, entrambi contaminati e governati dal super-io.”
L’impatto è duro e coinvolgente, incanta l’osservatore trascinandolo in una sensazione indefinita ma che, l’artista sa, lo porterà inconsciamente a riflettere sulla condizione dell’ossessione: del corpo, del diverso, della malattia, del comportamento, dell’ossessione stessa.
Il risultato sociale potrebbe essere raggiunto ma il viaggio prosegue, con parametri di lettura diversi, più sensibili e attenti.
Con la terza opera, di nuovo pittorica, l’artista compie “un’immersione nel pensiero, tappa necessaria nel percorso di conoscenza; quasi a seguire la teoria della linea di Platone, affonda il pennello calandosi all’interno della lastra psichica, costruita secondo le dissezioni delle tracce mnestiche dell’uomo, trovandovi paure, contraddizioni, disagi e desideri. Un graffito in cui convergono indizi, tracce, segni, riconducibile alla mappa anatomica dell’attività cerebrale”, per approdare alla quarta sezione dell’istallazione, dove affiora la scultura.
Un intreccio di gomma che identifica, scrive Locatelli, “un cervello, nero, amorfo, illogico, sospeso in un’aggregazione futuristica in plexiglass, cola verso la linea più corta di tre microstrutture che sigillano polvere bianca.”
“Ho voluto unire in un’unica scultura il cervello, quindi il pensiero, e l’anima, bianca ma chiodata, separandoli, in modo che non si possano toccare: mi ricorda l’appeso delle carte della divinazione. È l’incomunicabilità che sottende molte relazioni, ridotte all’idea che ogni attore si fa di essa”, spiega Brigitta Rossetti.
Ma l’opera non si ferma qui e, attraverso l’istallazione, ci si propone di disturbare. Lasciando chi osserva libero. Di fare ciò che l’ossessione nega: decidere.
Ecco allora diversi Moleskine appesi, forma di un processo di coinvolgimento degli spettatori della Biennale, che potranno lasciare segni, parole, graffiti secondo l’emozione del momento. Nel primo Moleskine i disegni di Brigitta Rossetti che, nel lungo sviluppo delle pagine unite, traccia uccelli che si trasformano in lunghe figure umane che ne sorreggono altre che si trasformano in piante e cascate d’acqua, richiamando la natura come luogo per affrontare l’ossessione. Negli altri i testi e i disegni dei visitatori, di altri artisti, tra cui spicca il testo di un fotografo che racconta di “una nuvola di fumo creata da ottanta sigarette, in un grande stanzone squallido, colmo di ottanta anime che perse in un movimento circolare attorno ad una grande colonna posta al centro vagavano lì senza meta...
Così mi appariva ventitre anni fa un mondo a me sconosciuto...IL MANICOMIO.
Basaglia cinque anni prima aveva abbattuto le porte di quelle stanze senza tempo e senza senso,
ma non era riuscito ad abbattere l’invisibile muro che la società aveva costruito per dimenticarsi di quelle ottanta anime...Da allora molto tempo è passato e quelle stanze piene di sofferenza sono state abbattute, e quelle ottanta anime stanno cercando di tornare ad essere persone con una propria dignità ...dignità....
che cancelli dalle loro menti quel movimento circolare ed isterico attorno ad una colonna. Dignità che riesca ad abbattere il muro........il pregiudizio.”
http://www.florencebiennale.org/
“L’arte deve disturbare. La scienza deve rassicurare.” Lo scriveva George Braque e questa frase sintetizza al meglio la creazione dell’opera che Brigitta Rossetti ha scelto di presentare alla Biennale di Firenze: il titolo dell’istallazione è Entering the obsession.
L’obiettivo duplice: l’inizio di un viaggio che potrà condurre alla scoperta come alla sconfitta, attraverso un percorso dall’esperienza visibile comune al mondo intellettivo ed intellegibile individuale; la necessità dell’artista di sensibilizzare su uno dei mali più sottili dei nostri anni, l’ossessione appunto.
L’istallazione racchiude più opere e più tecniche in un’unica imponente rappresentazione, come a voler dare libertà alla poliedricità dei suoi metodi di lavoro e di passione: pittura, videoinstallazione, scultura, poesia in un insieme di segni, gli stessi che richiamano un paragone, forse arduo ma azzeccato, con un’affermazione di Eraclito, “non sarebbe affatto meglio se le cose andassero come gli uomini desiderano. A meno che non ti aspetti l’imprevedibile, non troverai mai la verità, perché è arduo scoprirla e arduo realizzarla. La natura ama nascondersi. L’oracolo di Delphi non parla né nasconde: dà semplicemente dei segni”.
Entering the obsession è il frutto di un lavoro dove Brigitta Rossetti si è misurata con il suo passato, con le esperienze che quotidianamente si presentano ai nostri occhi a cui non prestiamo la giusta attenzione, con persone che l’ossessione l’hanno vissuta direttamente o la affrontano per motivi professionali e umanitari, con le tante piccole o grandi monomanie che condizionano la vita quotidiana delle persone, come il fumo, l’ordine compulsivo ecc…
Un affresco corale, che parte da un dipinto, in acrilico su tela, che presenta, si legge nel testo critico della psicologa Alessandra Locatelli, “la condizione umana nella sua completa fragilità: la sagoma è nuda, indifesa, privata anche della maschera protettiva dei capelli, e sola. La scelta cromatica graffia il bianco ed il nero scoprendo un imprevisto verde, un’aurea di linfa vitale, un anelito generativo di nuova vita, tuttavia non eterno, caduco, sottoposto al tempo di una clessidra.”
Alla tela seguono due filmati video, girati e montati dall’artista, che diventano “lenti di ingrandimento sul suo stato interiore, tracce della memoria intima alternate fino a fondersi con la memoria collettiva umana. Il vicolo cieco dell’esistenza ripetuta in gesti che non trovano soddisfazione si stringe sulla condizione dell’oggi, permeata dallo scollamento tra l’io e l’es, entrambi contaminati e governati dal super-io.”
L’impatto è duro e coinvolgente, incanta l’osservatore trascinandolo in una sensazione indefinita ma che, l’artista sa, lo porterà inconsciamente a riflettere sulla condizione dell’ossessione: del corpo, del diverso, della malattia, del comportamento, dell’ossessione stessa.
Il risultato sociale potrebbe essere raggiunto ma il viaggio prosegue, con parametri di lettura diversi, più sensibili e attenti.
Con la terza opera, di nuovo pittorica, l’artista compie “un’immersione nel pensiero, tappa necessaria nel percorso di conoscenza; quasi a seguire la teoria della linea di Platone, affonda il pennello calandosi all’interno della lastra psichica, costruita secondo le dissezioni delle tracce mnestiche dell’uomo, trovandovi paure, contraddizioni, disagi e desideri. Un graffito in cui convergono indizi, tracce, segni, riconducibile alla mappa anatomica dell’attività cerebrale”, per approdare alla quarta sezione dell’istallazione, dove affiora la scultura.
Un intreccio di gomma che identifica, scrive Locatelli, “un cervello, nero, amorfo, illogico, sospeso in un’aggregazione futuristica in plexiglass, cola verso la linea più corta di tre microstrutture che sigillano polvere bianca.”
“Ho voluto unire in un’unica scultura il cervello, quindi il pensiero, e l’anima, bianca ma chiodata, separandoli, in modo che non si possano toccare: mi ricorda l’appeso delle carte della divinazione. È l’incomunicabilità che sottende molte relazioni, ridotte all’idea che ogni attore si fa di essa”, spiega Brigitta Rossetti.
Ma l’opera non si ferma qui e, attraverso l’istallazione, ci si propone di disturbare. Lasciando chi osserva libero. Di fare ciò che l’ossessione nega: decidere.
Ecco allora diversi Moleskine appesi, forma di un processo di coinvolgimento degli spettatori della Biennale, che potranno lasciare segni, parole, graffiti secondo l’emozione del momento. Nel primo Moleskine i disegni di Brigitta Rossetti che, nel lungo sviluppo delle pagine unite, traccia uccelli che si trasformano in lunghe figure umane che ne sorreggono altre che si trasformano in piante e cascate d’acqua, richiamando la natura come luogo per affrontare l’ossessione. Negli altri i testi e i disegni dei visitatori, di altri artisti, tra cui spicca il testo di un fotografo che racconta di “una nuvola di fumo creata da ottanta sigarette, in un grande stanzone squallido, colmo di ottanta anime che perse in un movimento circolare attorno ad una grande colonna posta al centro vagavano lì senza meta...
Così mi appariva ventitre anni fa un mondo a me sconosciuto...IL MANICOMIO.
Basaglia cinque anni prima aveva abbattuto le porte di quelle stanze senza tempo e senza senso,
ma non era riuscito ad abbattere l’invisibile muro che la società aveva costruito per dimenticarsi di quelle ottanta anime...Da allora molto tempo è passato e quelle stanze piene di sofferenza sono state abbattute, e quelle ottanta anime stanno cercando di tornare ad essere persone con una propria dignità ...dignità....
che cancelli dalle loro menti quel movimento circolare ed isterico attorno ad una colonna. Dignità che riesca ad abbattere il muro........il pregiudizio.”
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suo Stato confiscandone i beni, tra cui il ricco patrimonio librario; i libri del Collegio di Busseto e Fidenza furono concentrati presso il Monte di Pietà e Abbondanza, da cui nasce il primo fondo della biblioteca del Monte di Pietà.Anno 1960, il Monte di Pietà e Abbondanza si fonde con la Cassa di Risparmio di Parma, che volle dare nuovo impulso alla cura del Palazzo e della Biblioteca. Verso la fine di quel decennio la direzione della biblioteca viene affidata al professor Corrado Mingardi, che ne accompagna tuttora la crescita. Al momento del suo insediamento la dotazione era di circa 5.000 volumi, mentre oggi si aggira intorno ai 65.000, con preziosissime rarità a cominciare dal fondo librario dei Gesuiti, composto fra l’altro da venti incunaboli e 480 cinquecentine, a cui si aggiungono numerose edizioni bodoniane, opere sei-settecentesche di medicina e scienze naturali e l’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert.Un simile patrimonio richiede un luogo altrettanto prestigioso e le sale della biblioteca, ricavate nel palazzo del Monte di Pietà costruito tra il 1681 e l’82 su progetto dell’architetto ducale Domenico Valmaggini, su commissione di Ranuccio II, assolvono al compito in maniera eccelsa. Nove sale e tre magazzini, le principali arredate con scaffali di legno intagliato dei secoli XVIII e XIX, accolgono tre mezze giornate alla settimana chiunque voglia trascorrere alcune ore immerso in uno dei veri piaceri della vita: i libri. Ad accogliere gli ospiti il personale qualificato e il professor Mingardi, un “uomo di libri” come ama definirsi. Ogni giorno, da quarant’anni, il professore passa in queste sale, ne raccoglie gli umori e l’infinito piacere, ne impara ancora oggi i piccoli segreti che vi sono racchiusi nelle migliaia di pagine lunghe cinque secoli.“Sono all’incirca 9.000 i prestiti annuali e circa ottocento le persone iscritte a questa biblioteca che, è bene ricordarlo, è pubblica ma non civica; l’istituzione, pur svolgendo funzioni di biblioteca aperta a tutti, fa capo alla Fondazione Cariparma che ne sostiene tutte le spese di mantenimento e gestione. – spiega Corrado Mingardi – Gli utenti del servizio sono comunque ben più numerosi degli iscritti e arrivano da tutta la Bassa parmense e dai comuni piacentini limitrofi”.Quest’anno il professor Mingardi festeggia il quarantesimo anniversario di questo rapporto straordinario con la Biblioteca bussetana, quarant’anni di gestione sapiente i cui risultati sono agli occhi del mondo. Lo scopro mentre mi accompagna in giro per le sale dell’attiguo palazzo del Monte di Pietà, visitabile su richiesta, dove le sale sono rimaste immutate negli anni, con la quadreria e gli stessi arredi d’epoca, come il tavolo e le sedie su cui i consiglieri dell’epoca erogarono una borsa di studio triennale al giovane meritevole Giuseppe Verdi che potè, in siffatto modo, completare la sua formazione di musicista e compositore a Milano. Lo stesso Verdi, negli anni della maturità, ripagò il Monte con alcuni lasciti. Non ci resta che fare i migliori auguri al professor Mingardi e alla biblioteca di Busseto, suggerendo una visita davvero emozionante e ricca.
Oggi il Palazzo è un centro molto dinamico di vita sociale e culturale che ospita congressi, ricevimenti, incontri culturali, mostre, oltre a proseguire nella sua attività di Centro studi di medicina veterinaria..All’interno trova posto un delizioso locale in cui ci si rifugia per godere veri e propri momenti di benessere: la Caffetteria del Palazzo. Aperta esattamente tre anni fa da Mila (le due note musicali, ama definirla suo marito Walter, consigliere delegato della società che gestisce le attività di Palazzo Trecchi), la Caffetteria si sviluppa in due accoglienti sale dove vengono proposte le migliori selezioni di bevande, dai caffè ai vini.Ma il “veramente bello” è il piccolo cortile giardino sul retro, un’autentica oasi di pace da cui ci si separa a fatica una volta seduti ad uno dei tavoli. Dentro e fuori, in diversi momenti dell’anno, vengono organizzati dei piccoli eventi di alta qualità, dalle degustazioni alle letture e alla musica.Mila e Walter, friulana e piemontese, arrivano da numerose esperienze nel settore alberghiero e l’impronta che hanno dato alla Caffetteria risente positivamente della loro visione del mondo: aperta e accogliente.






