L’idea cominciò a maturare nel dedalo di viuzze di
Istanbul che Oscar Farinetti stava percorrendo, attratto da un irresistibile
profumo di carne alla griglia. Siamo a metà degli anni Ottanta e l’inventore di
Eataly si trova davanti un’infilata di minuscole botteghe, eredità dell’antico
caravanserraglio. Tutte le merci in apparente disordine, in realtà
ordinatissime, con delimitati confini tra i prodotti. Un luogo di quelli che
cerca la gente: replicabile infinite volte, dove la gente vada e sia felice di
esserci. Oggi quei luoghi si chiamano Eataly e sono a Torino, Asti, Pinerolo,
Monticello, Milano, Bologna, Tokio e New York.
Come si cambia?
“Cambiamento significa crescita ed evoluzione, quindi il
cambiamento negli usi, nei consumi, nell'alimentazione è inevitabile e
benvenuto. La parte difficile del ragionamento è capire chi fa cambiare cosa,
cosa fa cambiare chi... viene prima l'uovo o la gallina? Secondo me si cambia
facendo un'analisi attenta della situazione e trovando una breccia nella quale
inserirsi. In questo modo si cambia ma in linea con il gusto e con le esigenze
altrui. Si comprano più prodotti a chilometro zero perché fanno meglio alla
salute e all'ambiente o siccome l'ambiente è in crisi e l'economia anche
cerchiamo i prodotti migliori a minore costo? Non c'è risposta. Anzi ci sono
troppe risposte giuste, nel senso che ognuno ha una sua risposta. Questo
concetto è intrigante perché ci dà una visione d'insieme a livello globale
facendoci capire che siamo tutti indissolubilmente legati da una spirale di
cause ed effetti indistinguibili tra loro. Sarebbe compito della politica e del
governo dei popoli trovare la saggezza per indirizzare in modo virtuoso il
cambiamento... “
Spesso in Italia,
quando si parla di cultura, inevitabilmente ci finisce dentro la cucina. E,
altrettanto spesso, quando si discute di patrimonio culturale, gli italiani si
fanno vanto di avere tutto o quasi tutto. Ma come ci vedono all’estero? Lo
chiedo a lei che gode di un osservatorio privilegiato, come Eataly a New York,
e conosce davvero il mondo, stando alla lettura del suo libro Il mercante
di utopie?
“Ci vedono come se fossimo dentro una clessidra: tutti
vorrebbero avere il nostro savoir faire ma nessuno ci invidia il modo in cui
siamo governati e il modo in cui ci rapportiamo alla politica. Volendo dire di
più, potrei spiegare che siamo il paese con il maggior numero di capolavori
d'arte, siamo il paese che più ha inciso nelle abitudini alimentari del mondo
intero (piazza, spaghetti, pesto, vini, vermouth...), siamo il paese che ha
inventato il melodramma e che ha fatto scrivere dai suoi poeti canzoni
indimenticabili diffuse e tradotte ovunque... Viviamo in una piattaforma
protesa nel Mediterraneo dove tutti si sono incontrati e hanno convissuto e
combattuto e tra noi ci sono i discendenti di quelle genti. Abbiamo avuto in
dono dalla geografia e dalla storia opportunità uniche, che, di volta in volta,
si sono anche trasformate in rischi, ma tutto questo non basta a connotarci in
modo definitivo per gli stranieri indipendentemente dalla cultura o dal ceto
sociale. Certamente poi nella vita di tutti i giorni passiamo alla ribalta per
episodi specifici che possono o non possono farci onore, destinati però ad
essere dimenticati. E, comunque ci vedano dall'estero, è solo quando ci
conoscono singolarmente che capiscono che gli italiani sono un popolo di
‘individui’ difficili da catalogare in funzione del paese di provenienza e che
la diversità è la nostra vera ricchezza.”
Aprire dei
ristoranti con il format che lei ha adottato cambia notevolmente il modo di
fare ristorazione. Le persone sono quasi ‘obbligate’ all’educazione alimentare.
Ma quanta strada c’è ancora da fare… Cosa ne pensa della capacità delle persone
a capire le differenze tra una materia prima di qualità rispetto ad altre ed
accettarne anche i costi? Cosa bisogna fare di più?
“Bisogna insistere sull'educazione al gusto e sulla
didattica. A Eataly Torino ospitiamo più di 2000 bambini ogni anno scolastico.
Vengono da noi per fare laboratori gratuiti sull'alimentazione e per imparare a
diventare dei mangiatori più consapevoli. Agli adulti, invece, spieghiamo che
la qualità deve essere per tutti, ma che siamo troppo male abituati da prezzi
eccessivamente bassi che non possono rappresentare le produzioni alimentari di
qualità.”
Da Torino alla
conquista di molti altri mercati, non ultima l’ apertura a Genova, nel Porto
Antico. Che rapporto si è creato con il ‘padrone di casa’ del Porto Antico,
l’architetto Renzo Piano?
“Ottimo, ci apprezziamo a vicenda. È un uomo molto
intelligente.”
Quale valore
metafisico, stando alla sua abitudine, dedicherà a Eataly di Genova?
“Dedicherò due valori: il valore delle Resistenza
(inaugureremo il 25 aprile in omaggio a Genova, una città che si è liberata da
sola) e il valore del movimento dei popoli (quelli che arrivano, quelli che
partono...). In occasione dell'inaugurazione di Eataly Genova, vorrei
organizzare e fare in prima persona un viaggio simbolico, in barca a vela,
verso l'America... “
E dopo Genova, cosa
succede?
“Dopo Genova ci concentreremo su Roma. Apriremo entro la
fine dell'anno un punto vendita da 16.000 metri quadri. Ci vorrà molto impegno
e moltissime energie.”
Quanto valore
attribuisce all’etica nel cibo?
“Si tratta di valore simbiotico. Non può esserci
distacco. L'etica garantisce la qualità, verso la quale non si può prescindere,
e il prezzo che deve essere equo sia per il produttore che per il consumatore.”
Perché ha deciso di
ideare il Bosco dei Pensieri, anziché piantare altri vigneti, forse più
remunerativi se si pensa che siamo nel cuore del Barolo?
“Il Bosco dei Pensieri è a nord, perché i nostri nonni
erano saggi e mettevano le vigne a sud e lasciavano boschive le aree a nord. Lì
dove c'è il Bosco non sarebbe venuto un buon vino. Quindi, io ho solo mantenuto
la tradizione di Fontanafredda. Il Bosco è lì da sempre...”
Che rapporto ha con
i fornitori? Come li sceglie?
“I prodotti che scegliamo devono essere straordinari. I
nostri produttori devono essere in grado di produrre per la gente comune,
devono essere semplici e armoniosi. E poi, se sono antipatici non andiamo
d'accordo.”
Qual è il suo
piatto della memoria?
“Il peperone al forno con la bagna cauda e l'aglio a
spicchi.”
E la materia prima
o l’ingrediente che ama di più?
“L'acciuga. Ma, in generale, amo sempre moltissimo
l'ultimo piatto che ho mangiato, perché di fondo sono un ottimista e cerco
sempre di trovare il meglio ovunque.”
Luigi Franchi
Pubblicato su Catering,
rivista della ristorazione e dei consumi
fuori casa – Marzo 2011
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