L’occasione mi è offerta
dall’evento Un mare di sapori che
l’Assessorato all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna organizza ogni anno
sulla riviera romagnola per la promozione dei prodotti tipici della sua
fertilissima terra; a Cesenatico, in una bella sera d’estate sul molo, si
presentava la guida dei vini dell’Emilia-Romagna, con degustazione e
abbinamenti a prosciutto crudo, salumi piacentini, parmigiano-reggiano e molte
altre magnifiche specialità.
Poco prima della
manifestazione, passeggiando lungo il porto-canale progettato da Leonardo Da
Vinci, mi imbatto in un cartello che recita “per favore non chiedeteci spaghetti allo scoglio perché a Cesenatico
gli scogli non ci sono”.
Il cartello è appeso
all’esterno dell’Osteria del Gran Fritto, le cui pareti aumentano la mia
curiosità: due lunghissimi dipinti di marine adriatiche accompagnano
all’interno in una sorta di ipnotica meraviglia. Otto metri di lunghezza per
circa sessanta centimetri di altezza di mari blu, nuvole bianchissime, linee di
sabbia interrotte da capanni coloratissimi e una firma, quella di Tinin
Mantegazza.
Un nome che mi riporta a
quando, giovane padre agli inizi degli anni ‘90, non mi perdevo una puntata televisiva
dell’ Albero Azzurro insieme a mio figlio: lui, regista, autore, pittore,
organizzatore teatrale, storico, giornalista, era stato l’inventore del pupazzo
Dodò.
“Tinin mi porta un quadro ogni vigilia di Natale e, in cambio, io gli
organizzo una gran cena con tutti i nostri amici mangiari.” Comincia così
la conversazione con Stefano Bartolini che mi accompagna nella seconda sala
dell’osteria dove sono esposte enormi bellissime fotografie in bianco e nero
della Cesenatico anni ’50, tra cui quella di suo padre pescatore che farebbe
invidia ad un attore hollywoodiano tanto è intenso il suo viso.
“Era un’intera famiglia di pescatori quella dei Bartolini, da
generazioni. Poi mio padre Marcello decise di diventare oste per passione,
seguendo le orme di mio zio Titon, negli anni ’60 vero mito gastronomico di
Cesenatico.” Stefano Bartolini è la rappresentazione dello stile romagnolo,
uno di quelli che ha reso famosa nel mondo questa riviera italiana: allegro,
sempre, capace di prendersi in giro, verace nei modi e nelle espressioni
gergali oltreché nei desideri.
“Ho cominciato nel 1985, rilevando un locale che si chiamava La buca d’Amalfi…
a Cesenatico!! Ho tolto d’Amalfi ed è nata La Buca, dove altro non ho fatto che
proporre i sapori, gli odori, i pesci del nostro mare. Poi, nel 1999, l’inizio
dell’avventura dell’Osteria del Gran Fritto, nata per caso dall’atmosfera di
grande convivialità di una cena a casa mia con il pesce pescato da Andrea Tosi.
Voglio riprodurre questa condizione di assoluto piacere, mi sono detto.”

Il pesce poi finirà nei due
locali, in bella mostra nella grande vetrata della Buca, da cui il cliente può
scegliere. L’idea della cucina a vista l’ha avuta Andrea, il figlio architetto
che, il giorno dopo la laurea, ha detto a Stefano: “sono pronto a fare l’oste.”
Il primo lavoro è stato
proprio quello di separare i due locali, con target diversi di clientela e di
proposte. Un format che i Bartolini hanno replicato a Milano Marittima dove, in
un grande locale in riva al mare, hanno aperto un’altra Osteria del Gran Fritto
a pianoterra e la Terrazza Bartolini al piano superiore.
Un luogo che definir
emozionante è dir poco: un’enorme vasca di marmo costantemente ghiacciata
troneggia al centro della sala, ogni giorno curata personalmente da Luigi
Quadrelli: “un amico e uno dei pochi veri
pescivendoli rimasti”, lo descrive Stefano.
In sala, a coordinare il
tutto, c’è Andrea, l’architetto-oste: “Non
potevo fare altro. Mio nonno Marcello mi ha tirato su a sardoncini, moletti e
poverazze (le vongole dell’Adriatico ndr). Nel ristorante sono cresciuto,
facevo i compiti, mangiavo a mezzogiorno e sera, giocavo. Ho visto passare migliaia di persone.
Non sarei riuscito a farne a meno.”
Mai decisione fu più
apprezzata dai clienti, dagli amici e da suo padre Stefano che mi mostra con
malcelato orgoglio tutto quello che Andrea ha portato di buono e di nuovo nei
loro quattro locali, “tranne una cosa”,
mi dice mentre apre la porta del bagno al Ristorante La Buca: ad altezza occhi
Stefano ha fatto installare un monitor su cui passano a ripetizione spezzoni di
cartoni animati a tema gastronomico. Piccolo tocco di ironia romagnola.
Come quella con cui mi
descrive il suo prossimo desiderio: “L’ho
già individuato, è un edificio vicino al molo. Sarà lì che andrò, una volta in
pensione, ad aprire un locale con due dei miei storici collaboratori: serviremo
solo bicchieri di vino con poverazze, piadina e poco altro. Il nome c’è già: i
tre dinosauri.”

Il risultato è un risotto che
sa di mare in maniera prepotente, ma senza più un pezzetto di pesce.
Luigi Franchi
Pubblicato su Food&Beverage- Ottobre 2010
www.stefanobartolini.com
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