lunedì 31 ottobre 2011

Il Prosciutto di Sauris, dai mille metri in sù





Dai mille metri in giù non si può fare! Questo potrebbe essere il principale elemento identitario del prosciutto affumicato di Sauris, a cui da quest’anno è stata attribuita l’IGP (Indicazione Geografica Protetta). Ma la storia e le caratteristiche di questo salume sono altre ancora, a cominciare proprio dalle origini di questo particolare borgo posto in alta Carnia, a 1400 metri sul livello del mare che gli conferiscono il primato di paese più alto del Friuli Venezia Giulia.
Sauris fu fondata attorno al 1200 da due famiglie di cacciatori provenienti dalla Carinzia e, per secoli, ha subito un isolamento che ha determinato specifiche caratteristiche ancora evidenti nelle architetture e nel dialetto saurano, un idioma che conserva vocaboli e ritmo del tedesco parlato nel XIII secolo, praticato unicamente da questa piccola comunità. Oggi Sauris è inserita tra le venti località aderenti al circuito delle perle alpine, coordinato dal Consorzio Turistico Alpine Pearls, e si raggiunge abbastanza agevolmente da quando, negli anni ’30, fu costruita la prima strada rotabile. Ma prima d’allora, in inverno, era praticamente impossibile raggiungere il paese, isolato da copiose nevicate che tuttora, sulle cime delle montagne dove ci sono le malghe, raggiungono diversi metri d’altezza.
“Quando scenderai a Sauris facci caso: ogni casa porta una croce scavata nel legno sotto il tetto. Era il luogo in cui riposavano i morti durante l’inverno, quando la neve seppelliva tutto, anche il cimitero e le case.” Mi racconta Giordano mentre mi offre una ciotola di tiepida ricotta appena fatta nella sua malga di Passo Pura, duecento metri in altezza sopra Sauris.
Forse è stato proprio l’isolamento che ha spinto gli abitanti di Sauris a sviluppare prodotti e alimenti necessari per la sopravvivenza: da qui le tessiture, mestiere un tempo riservato agli uomini, e la tecnica dell’affumicatura per le carni, in primis il prosciutto crudo.
Questo pregiato salume è al centro di una grande festa che, nei primi due weekend di luglio, occupa ogni angolo del paese e, grazie all’intraprendenza di Pietro Schneider (il cognome più diffuso della piccola comunità) nel lontano 1862, attualmente rappresenta una parte fondamentale dell’economia del territorio.
Basti pensare che nel salumificio Wolf lavorano 60 persone e che l’intera comunità non supera i 400 abitanti. Ma è meglio andare con ordine. Intanto cominciamo con il dire che Wolf è il soprannome con cui la famiglia di Pietro Schneider e i suoi antenati, al secolo Beppino e Licia Petris, sono conosciuti, a tal punto che hanno chiamato l’azienda in questo modo.
Il salumificio Wolf taglierà il traguardo ufficiale dei cinquant’anni nel 2012, ma le origini risalgono alla fama di norcino e ottimo produttore di prosciutti del nonno di Beppino, Pietro Schneider. E li faceva già allora con il procedimento dell’affumicatura gentile.
Da allora poco è cambiato nelle tecniche di produzione, tranne forse l’utilizzo del tipo di legname. Un tempo si usavano il pino e l’abete che conferivano un gusto molto forte e pronunciato al prosciutto, mentre adesso è il faggio il legno utilizzato nel processo di affumicatura, che infonde un sapore e un profumo più raffinato e delicato.
Per il resto il procedimento rimane quello tradizionale: selezione delle cosce fresche di suino nazionale, come da disciplinare, salatura tramite il massaggio fatto in più tempi e infine l’affumicatura.
I prosciutti vengono appesi in grandi sale dove penetra il “fumo gentile” di tre camini posti al pianterreno dello stabilimento, alimentati a mano dagli operai con il legno delle faggete che circondano Sauris. Successivamente entra in gioco l’altitudine, quei famosi mille metri sotto i quali non è più prosciutto di Sauris.
Alla Wolf hanno realizzato enormi saloni dove i prosciutti stagionano lentamente grazie alla memoria storica degli addetti che sanno quando aprire e chiudere le finestrelle, in base a precisi momenti del giorno e delle stagioni, per garantire ai prosciutti quell’aria pulita che si respira a 1400 metri d’altitudine, celebrata anche dal grande Gino Veronelli che ebbe a scrivere: “A Sauris lasciami sostare, per il verde dei boschi e dei prati, per le case lignee, le pale anche lignee delle due chiese, i canti in carnico, friulano e tedesco del coro, i prosciutti affumicati di Licia e Beppino Petris.”
Con infinita modestia mi sento di aggiungere, dopo il mio viaggio magico in quelle terre, anche per la birra integrale Zahre, per i formaggi di malga di Giordano De Monte, per la squisita ospitalità dell’Hotel Morgenleit dove sanno presentare al meglio il prosciutto affumicato di Sauris Wolf.
Restano a stagionare almeno dodici mesi i 40.000 prosciutti affumicati, ma uno ci resta di più. L’aria di Sauris la respira per almeno sedici mesi perché viene fatto con cosce più pesanti, quelle che hanno una marezzatura di grasso più particolare: a questo prosciutto i Wolf hanno dato il nome di Nonno Bepi, un omaggio a Beppino da parte dei quattro figli che lo affiancano in azienda, garantendo continuità a questa straordinaria avventura nata un anno dopo l’Unità d’Italia.

Luigi Franchi

Pubblicato su Food&Beverage – Ottobre 2010

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