Dai mille metri in giù non si può fare! Questo potrebbe
essere il principale elemento identitario del prosciutto affumicato di Sauris,
a cui da quest’anno è stata attribuita l’IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Ma la storia e le caratteristiche di questo salume sono altre ancora, a
cominciare proprio dalle origini di questo particolare borgo posto in alta
Carnia, a 1400 metri sul livello del mare che gli conferiscono il primato di
paese più alto del Friuli Venezia Giulia.
Sauris fu fondata attorno al 1200 da due famiglie di
cacciatori provenienti dalla Carinzia e, per secoli, ha subito un isolamento
che ha determinato specifiche caratteristiche ancora evidenti nelle
architetture e nel dialetto saurano, un idioma che conserva vocaboli e ritmo
del tedesco parlato nel XIII secolo, praticato unicamente da questa piccola
comunità. Oggi Sauris è inserita tra le venti località aderenti al circuito
delle perle alpine, coordinato dal Consorzio Turistico Alpine Pearls, e si
raggiunge abbastanza agevolmente da quando, negli anni ’30, fu costruita la
prima strada rotabile. Ma prima d’allora, in inverno, era praticamente
impossibile raggiungere il paese, isolato da copiose nevicate che tuttora,
sulle cime delle montagne dove ci sono le malghe, raggiungono diversi metri
d’altezza.
Forse è stato proprio l’isolamento che ha spinto gli
abitanti di Sauris a sviluppare prodotti e alimenti necessari per la
sopravvivenza: da qui le tessiture, mestiere un tempo riservato agli uomini, e
la tecnica dell’affumicatura per le carni, in primis il prosciutto crudo.
Questo pregiato salume è al centro di una grande festa
che, nei primi due weekend di luglio, occupa ogni angolo del paese e, grazie
all’intraprendenza di Pietro Schneider (il cognome più diffuso della piccola
comunità) nel lontano 1862, attualmente rappresenta una parte fondamentale
dell’economia del territorio.
Basti pensare che nel salumificio Wolf lavorano 60
persone e che l’intera comunità non supera i 400 abitanti. Ma è meglio andare
con ordine. Intanto cominciamo con il dire che Wolf è il soprannome con cui la
famiglia di Pietro Schneider e i suoi antenati, al secolo Beppino e Licia
Petris, sono conosciuti, a tal punto che hanno chiamato l’azienda in questo
modo.
Da allora poco è cambiato nelle tecniche di produzione,
tranne forse l’utilizzo del tipo di legname. Un tempo si usavano il pino e
l’abete che conferivano un gusto molto forte e pronunciato al prosciutto,
mentre adesso è il faggio il legno utilizzato nel processo di affumicatura, che
infonde un sapore e un profumo più raffinato e delicato.
Per il resto il procedimento rimane quello tradizionale:
selezione delle cosce fresche di suino nazionale, come da disciplinare,
salatura tramite il massaggio fatto in più tempi e infine l’affumicatura.
I prosciutti vengono appesi in grandi sale dove penetra
il “fumo gentile” di tre camini posti al pianterreno dello stabilimento,
alimentati a mano dagli operai con il legno delle faggete che circondano
Sauris. Successivamente entra in gioco l’altitudine, quei famosi mille metri
sotto i quali non è più prosciutto di Sauris.
Con infinita modestia mi sento di aggiungere, dopo il mio
viaggio magico in quelle terre, anche per la birra integrale Zahre, per i
formaggi di malga di Giordano De Monte, per la squisita ospitalità dell’Hotel
Morgenleit dove sanno presentare al meglio il prosciutto affumicato di Sauris Wolf.
Restano a stagionare almeno dodici mesi i 40.000
prosciutti affumicati, ma uno ci resta di più. L’aria di Sauris la respira per
almeno sedici mesi perché viene fatto con cosce più pesanti, quelle che hanno
una marezzatura di grasso più particolare: a questo prosciutto i Wolf hanno
dato il nome di Nonno Bepi, un omaggio a Beppino da parte dei quattro figli che
lo affiancano in azienda, garantendo continuità a questa straordinaria
avventura nata un anno dopo l’Unità d’Italia.
Luigi Franchi
Pubblicato su Food&Beverage – Ottobre 2010
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