lunedì 31 ottobre 2011

Le buone erbe per la ristorazione

“I germogli di mais sono i più apprezzati” esordisce Stefano Gibellini, di Alimentaria, azienda di distribuzione spezzina specializzata nella selezione di prodotti di alta gamma.
“Quelli di bietola rossa fanno impazzire gli chef per il loro bellissimo colore, perfetto per la guarnizione”, gli fa eco Pietro Farnedi, dalle terre romagnole dove ha impiantato la sua azienda di germogli Vivo.
“Io utilizzo, quando è stagione, gli orapi, degli spinaci selvatici che sono meravigliosi per il ripieno dei nostri ravioli selvatici”, interviene Enzo Barnabei dalla sua Osteria degli Ulivi, che ha riaperto, dopo essere stato distrutto dal terremoto abruzzese, a Montorio al Vomano ai piedi del Gran Sasso, dove nascono più di erbe aromatiche ed officinali.
Il terzo millennio è un fiorire, nel senso letterale del termine, di utilizzo delle erbe in cucina, abitudine mai scomparsa ma che oggi assume un ruolo centrale nelle proposte culinarie di molti chef. Forse esprime un bisogno di benessere o forse un desiderio di portare alla luce, attraverso il cromatismo che le erbe e i fiori eduli conferiscono al piatto, l’aspetto artistico che una buona cucina porta con sé. Di certo sarebbe felice di tutto questo nuovo umanesimo delle erbe Vincenzo Corrado, l’autore del primo ricettario con le erbe stampato a Napoli nel 1781.
Un menu natura contemporaneo lo troviamo invece nelle proposte di Stefano Masanti, patron del ristorante Al Cantinone, a Madesimo, in Valtellina. “Viverci in mezzo alla natura porta naturalmente ad amarla. Siamo circondati da boschi e prati dove raccogliamo direttamente le erbe. Una passione – racconta lo chef – che è nata una decina d’anni fa, ascoltando i racconti delle signore più anziane di Madesimo. Grazie a loro ho scoperto l’Achillea moscata, che qui cresce spontanea, e le se proprietà che stimolano l’appetito”.Nel suo menu si trovano la trota di torrente con latte all' achillea e spuma di patate, il porcino con crema di gemme di abete e pistacchi, il risotto affumicato con erba silene dei pascoli.
“La tendenza all’utilizzo di erbe e germogli si è imposta rapidamente, in questi ultimi anni” racconta Pietro Farnedi, autore di una personalissima campagna di protesta e precisazione ai tempi del batterio e.coli che puntava a fare chiarezza e contrastare l’impatto mediatico che aveva creato una grave crisi anche in Italia, nonostante l’elevatissima qualità e sicurezza delle coltivazioni.
Farnedi, dopo una vita professionale trascorsa in giro per il mondo come dirigente di una multinazionale, decise che era venuto il momento di dare un suo personale contributo al mangiar sano: “Avevo notato questa abitudine al consumo di germogli in molte aree, soprattutto nel nord-Europa. Sei anni fa decisi di dedicarmi a quest’attività rigorosamente biologica. Oggi  produciamo più di venti referenze di germogli che crescono, a temperatura controllata, in un arco di tempo che va dai tre ai sette giorni, per poi prendere immediatamente la strada della ristorazione. C’è ancora una predominanza, da parte degli chef, a valorizzare l’aspetto cromatico e la sapidità dei germogli, più che quello salutistico, ma è già un grande passo avanti. Soprattutto quando resto affascinato dalla capacità di molti cuochi a tirar fuori sapori da germogli, come appunto la bietola rossa, che in origine sono sgradevoli; la perfetta dosatura ne esalta invece il profumo di sottobosco”. Germogli che, va puntualizzato, sono interamente prodotti e certificati in Italia.
Ma produrre erbe per la ristorazione significa anche generare innovazione come quella dell’olandese Koppert Cress che, per la gamma di referenze, ha scelto un nome intrigante ed esemplificativo: Architecture Aromatique.
“L’azienda coltiva i micro-ortaggi che vengono fatti crescere su un letto di fibre naturali, in completa e igienica assenza di terriccio e in regime biologico. Dalle serre arriva direttamente al ristorante, in ogni parte d’Europa, con consegne settimanali. Per l’Italia spediamo, con i mezzi che trasportano ortofrutta, crca 40.000 cassettine a settimana” spiega Enrico Zallot, anche lui una vita da manager in una multinazionale e poi l’amore per la coltivazione, responsabile commerciale per l’Italia.
Le piantine sono pensate per arricchire i sapori del piatto, crearne di nuovi e, perché no, far uscire la componente ludica del cibo invogliando i commensali ad individuarne i sapori come l’elettrico sechuan button o l’oyster leaves.
“Un mondo affascinante, quello delle erbe, che ci impone di adeguare anche il nostro lavoro, garantendo efficienza e rapidità di consegne” puntualizza Stefano Gibellini di Alimentaria che, in questa gara a chi conosce più erbe, vuole avere l’ultima parola con una saggia riflessione: “Si mangia molto bene anche con la vista”. Che l’arte vinca? Più probabilmente va d’accordo con una cucina che fa bene.

Luigi Franchi

Pubblicato su Catering, rivista della ristorazione  e dei consumi fuori casa – Settembre 2011

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