Forse si tratta di pura coincidenza ma i precursori della
dieta mediterranea, studiata dall’americano Angel furono i medici che, a
partire dal XI secolo diedero vita alla Scuola Medica Salernitana e al più
antico orto botanico d’Europa dove vennero coltivate una grande quantità di
erbe e piante per studiarne le proprietà terapeutiche.
Il territorio è lo stesso, quell’area della Campania
crocevia di importanti scambi commerciali, di contaminazioni culturali, ma
soprattutto dotata di un clima notoriamente salubre. Fu qui che si
concentrarono gli studi di Ancel Keys, lo scienziato americano autore della
ricerca "Seven Countries Study", basata sul confronto dei regimi
alimentari di 12.000 persone, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparse in sette
Paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e
Jugoslavia). I risultati dell'indagine, durata trent’anni e ultimata nel 1969,
non lasciarono dubbi: la mortalità per cardiopatia ischemica (infarto) è molto
più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a Paesi dove la dieta è
ricca di grassi saturi.
In Italia le ricerche si concentrano in una precisa area del
Cilento, a Pioppi nel comune di Pollica che, negli anni scorsi si è fatto
promotore dell’inserimento della Dieta mediterranea tra i Patrimoni orali e
immateriali dell’Umanità, ottenuto il 16 novembre 2010. Ma in cosa consiste
questa dieta e, rispetto allo studio di cinquant'anni
fa, quali caratteristiche ha mantenuto e come si colloca in uno scenario di
consumi che si è profondamente trasformato? Alcune significative risposte ce le
fornisce il professor Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana
della Cucina.
“La dieta di tipo mediterraneo o
‘mangiare mediterraneo’ che si era formato negli ultimi millenni, quale era
stata vista e studiata da Ancel Keys e altri a metà del secolo passato, aveva
un significato se inserita in uno stile di vita che comprendeva una
significativa attività fisica (otto ore giornaliere), ritmi alimentari (tre
pasti giornalieri con una composizione ben definita) e soprattutto l'utilizzo
di alimenti con precise attività extranutrizionali o nutraceutiche. Queste, in
buona parte sono oggi ridotte o scomparse. Ad esempio le attività antiossidanti
di un origano o di un rosmarino spontanei e soprattutto freschi, sono molto
ridotti o non sono più presenti nei prodotti essiccati e negli ‘aromi di ...’.
In modo analogo diverse sono le caratteristiche extranutrizionali o
nutraceutiche di carni o latte ottenuto da animali al pascolo, da quelle di
animali alimentati con granaglie come mais o soia). Se l'attuale applicazione di una dieta
mediterranea (invenzione americana e diversa dal ‘mangiare mediterraneo’) ha
portato e porta alcuni vantaggi per quanto riguarda alcune patologie
(cardiovascolari ecc.) non ha impedito la diffusione della epidemia obesità –
diabesità e di patologie
neurodegenerative o di ancora poco note tesaurismosi nervose (accumulo nel
sistema nervoso di componenti anomale)”.
“Una vera dieta mediterranea – è la
convinzione del professor Ballarini - ha significato soltanto se inserita in
uno stile di vita mediterraneo. Da qui l'importanza dei saperi e sapori
tradizionali”.
Dello stesso parere Claude Fischler, sociologo e direttore
del centro Edgar Morin di Parigi che, durante il secondo International forum on Food & Nutrition
che si è tenuto a Milano nei mesi scorsi, ha ribadito come “la dieta
mediterranea non è solo un insieme di cose materiali che si mangiano ma è un
modo di vivere, una filosofia e uno stile di vita. Del resto la vita è troppo
breve per trascorrerla sempre a dieta. Meglio godersela mangiando cibi
mediterranei come pasta, pane, frutta e verdura. Staremo meglio e più in forma.
E allo stesso tempo anche più felici”.
Lo stress del pranzo fuoricasa
Ma come si può valorizzare questo
stile di vita, in un Paese dove si mangia sempre più di corsa, fuoricasa e,
nell’intervallo del pranzo, spesso in piedi nell’arco di dieci minuti? Sono
profondamente cambiate le abitudini alimentari degli italiani, che dedicano
sempre meno tempo alla cucina a scapito di altri impegni o passatempi, come
rileva la fotografia tracciata dal Barilla Center for Food &
Nutrition.
Secondo lo studio ammontano a 105 milioni i pasti che
complessivamente ogni giorno consumano gli italiani. Di questi ben uno su
quattro è consumato fuori casa e solo in due casi su tre in compagnia dei
propri cari. È intorno alle tredici il picco dei pasti fuori casa, in pratica i
due terzi, un segno evidente della difficoltà a rientrare a casa per il pranzo,
specie quando si vive in una grande città. In pratica lo stress passa dal
lavoro alla tavola, senza soluzione di continuità: abbondano i piatti consumati
in piedi (il 14%) e in meno di 10 minuti (un caso su dieci). Ma i nutrizionisti
avvertono: meglio prendersi una pausa e masticare lentamente un buon piatto di
pasta al dente con un po’ di pomodoro fresco e un filo di olio extra vergine,
qualche volta accompagnato dagli antiossidanti di un buon bicchiere di vino
rosso.
I prodotti della
dieta mediterranea
La dieta mediterranea prevede il consumo di pane,
frutta, verdura, erbe aromatiche, cereali, olio di oliva, pesce e vino;
alimenti che si trovano nel paniere dei “sapori e saperi tradizionali” di cui
parla il presidente dell’Accademia Italiana della Cucina.
“L’olio extravergine d’oliva è forse l’ingrediente più
funzionale al mangiare mediterraneo, per il suo apporto salutistico oltre che
di gusto. – afferma Valerio Fassitelli, direttore commerciale di Costa d’Oro,
azienda di Spoleto che produce olio extravergine d’oliva dal 1968 – Negli anni
si è affinato il consumo di olio extravergine e la stessa ristorazione presta
più attenzione alla qualità e al tavolo tende a proporre oli dalle chiare
indicazioni in etichetta, che è del resto la filosofia per cui noi lavoriamo
da molto tempo”.
Non può esserci un olio extravergine di qualità se non
è accompagnato da altrettanta qualità e ricerca negli altri ingredienti, come
il pomodoro che, negli ultimi anni, è stato confinato al ruolo di commodity ma
non per questo si riduce la qualità, soprattutto in termini di trasformazione,
come spiega Dario Squeri, amministratore di Steriltom, azienda leader in Europa
per la produzione di polpa di pomodoro per il canale ho.re.ca.: “Siamo stati i
primi in Italia ad introdurre la tecnica di sterilizzazione per la polpa di
pomodoro che mantiene inalterata la naturalità del pomodoro, garantendo la
totale sicurezza microbiologica. Non a caso siamo in grado di gestire la
tracciablità del nostro prodotto fino al seme. L’innovazione è la nuova linea
di sughi pronti a base di polpa, ricettati di base per la ristorazione, in
particolare la collettiva, che consentono rapidità di servizio ma altrettanta
creatività per lo chef”.
Una delle possibili risposte verso un modello di
consumo del cibo che, con l’alta qualità di servizio, potrebbe riappropriarsi
dei ritmi del mangiare mediterraneo.
Luigi Franchi
Pubblicato su Catering, rivista della ristorazione e dei consumi fuori casa – Luglio 2011
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