lunedì 31 ottobre 2011

Mangiare mediterraneo

Forse si tratta di pura coincidenza ma i precursori della dieta mediterranea, studiata dall’americano Angel furono i medici che, a partire dal XI secolo diedero vita alla Scuola Medica Salernitana e al più antico orto botanico d’Europa dove vennero coltivate una grande quantità di erbe e piante per studiarne le proprietà terapeutiche.
Il territorio è lo stesso, quell’area della Campania crocevia di importanti scambi commerciali, di contaminazioni culturali, ma soprattutto dotata di un clima notoriamente salubre. Fu qui che si concentrarono gli studi di Ancel Keys, lo scienziato americano autore della ricerca "Seven Countries Study", basata sul confronto dei regimi alimentari di 12.000 persone, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparse in sette Paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia). I risultati dell'indagine, durata trent’anni e ultimata nel 1969, non lasciarono dubbi: la mortalità per cardiopatia ischemica (infarto) è molto più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a Paesi dove la dieta è ricca di grassi saturi.
In Italia le ricerche si concentrano in una precisa area del Cilento, a Pioppi nel comune di Pollica che, negli anni scorsi si è fatto promotore dell’inserimento della Dieta mediterranea tra i Patrimoni orali e immateriali dell’Umanità, ottenuto il 16 novembre 2010. Ma in cosa consiste questa dieta e, rispetto allo studio di cinquant'anni fa, quali caratteristiche ha mantenuto e come si colloca in uno scenario di consumi che si è profondamente trasformato? Alcune significative risposte ce le fornisce il professor Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina.
“La dieta di tipo mediterraneo o ‘mangiare mediterraneo’ che si era formato negli ultimi millenni, quale era stata vista e studiata da Ancel Keys e altri a metà del secolo passato, aveva un significato se inserita in uno stile di vita che comprendeva  una significativa attività fisica (otto ore giornaliere), ritmi alimentari (tre pasti giornalieri con una composizione ben definita) e soprattutto l'utilizzo di alimenti con precise attività extranutrizionali o nutraceutiche. Queste, in buona parte sono oggi ridotte o scomparse. Ad esempio le attività antiossidanti di un origano o di un rosmarino spontanei e soprattutto freschi, sono molto ridotti o non sono più presenti nei prodotti essiccati e negli ‘aromi di ...’. In modo analogo diverse sono le caratteristiche extranutrizionali o nutraceutiche di carni o latte ottenuto da animali al pascolo, da quelle di animali alimentati con granaglie come mais o soia). Se l'attuale applicazione di una dieta mediterranea (invenzione americana e diversa dal ‘mangiare mediterraneo’) ha portato e porta alcuni vantaggi per quanto riguarda alcune patologie (cardiovascolari ecc.) non ha impedito la diffusione della epidemia obesità – diabesità  e di patologie neurodegenerative o di ancora poco note tesaurismosi nervose (accumulo nel sistema nervoso di componenti anomale)”.
“Una vera dieta mediterranea – è la convinzione del professor Ballarini - ha significato soltanto se inserita in uno stile di vita mediterraneo. Da qui l'importanza dei saperi e sapori tradizionali”.
Dello stesso parere Claude Fischler, sociologo e direttore del centro Edgar Morin di Parigi che, durante il secondo International forum on Food & Nutrition che si è tenuto a Milano nei mesi scorsi, ha ribadito come “la dieta mediterranea non è solo un insieme di cose materiali che si mangiano ma è un modo di vivere, una filosofia e uno stile di vita. Del resto la vita è troppo breve per trascorrerla sempre a dieta. Meglio godersela mangiando cibi mediterranei come pasta, pane, frutta e verdura. Staremo meglio e più in forma. E allo stesso tempo anche più felici”.

Lo stress del pranzo fuoricasa
Ma come si può valorizzare questo stile di vita, in un Paese dove si mangia sempre più di corsa, fuoricasa e, nell’intervallo del pranzo, spesso in piedi nell’arco di dieci minuti? Sono profondamente cambiate le abitudini alimentari degli italiani, che dedicano sempre meno tempo alla cucina a scapito di altri impegni o passatempi, come rileva la fotografia tracciata dal Barilla Center for Food & Nutrition.
Secondo lo studio ammontano a 105 milioni i pasti che complessivamente ogni giorno consumano gli italiani. Di questi ben uno su quattro è consumato fuori casa e solo in due casi su tre in compagnia dei propri cari. È intorno alle tredici il picco dei pasti fuori casa, in pratica i due terzi, un segno evidente della difficoltà a rientrare a casa per il pranzo, specie quando si vive in una grande città. In pratica lo stress passa dal lavoro alla tavola, senza soluzione di continuità: abbondano i piatti consumati in piedi (il 14%) e in meno di 10 minuti (un caso su dieci). Ma i nutrizionisti avvertono: meglio prendersi una pausa e masticare lentamente un buon piatto di pasta al dente con un po’ di pomodoro fresco e un filo di olio extra vergine, qualche volta accompagnato dagli antiossidanti di un buon bicchiere di vino rosso.

I prodotti della dieta mediterranea
La dieta mediterranea prevede il consumo di pane, frutta, verdura, erbe aromatiche, cereali, olio di oliva, pesce e vino; alimenti che si trovano nel paniere dei “sapori e saperi tradizionali” di cui parla il presidente dell’Accademia Italiana della Cucina.
“L’olio extravergine d’oliva è forse l’ingrediente più funzionale al mangiare mediterraneo, per il suo apporto salutistico oltre che di gusto. – afferma Valerio Fassitelli, direttore commerciale di Costa d’Oro, azienda di Spoleto che produce olio extravergine d’oliva dal 1968 – Negli anni si è affinato il consumo di olio extravergine e la stessa ristorazione presta più attenzione alla qualità e al tavolo tende a proporre oli dalle chiare indicazioni in etichetta, che è del resto la filosofia per cui noi lavoriamo da  molto tempo”.
Non può esserci un olio extravergine di qualità se non è accompagnato da altrettanta qualità e ricerca negli altri ingredienti, come il pomodoro che, negli ultimi anni, è stato confinato al ruolo di commodity ma non per questo si riduce la qualità, soprattutto in termini di trasformazione, come spiega Dario Squeri, amministratore di Steriltom, azienda leader in Europa per la produzione di polpa di pomodoro per il canale ho.re.ca.: “Siamo stati i primi in Italia ad introdurre la tecnica di sterilizzazione per la polpa di pomodoro che mantiene inalterata la naturalità del pomodoro, garantendo la totale sicurezza microbiologica. Non a caso siamo in grado di gestire la tracciablità del nostro prodotto fino al seme. L’innovazione è la nuova linea di sughi pronti a base di polpa, ricettati di base per la ristorazione, in particolare la collettiva, che consentono rapidità di servizio ma altrettanta creatività per lo chef”.
Una delle possibili risposte verso un modello di consumo del cibo che, con l’alta qualità di servizio, potrebbe riappropriarsi dei ritmi del mangiare mediterraneo.
Luigi Franchi
Pubblicato su Catering, rivista della ristorazione  e dei consumi fuori casa – Luglio 2011

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