Leonardo Frescobaldi ha
viaggiato a lungo in molte parti del mondo, forse seguendo le orme del suo
omonimo del XIV secolo che compì un viaggio in Terrasanta pubblicandone un
dettagliato resoconto. Di certo questa passione di viaggiatore gli consente di
governare, con grande capacità di visione internazionale, l’azienda dell’Italia
enologica più conosciuta nel mondo, sia per qualità che per storia.
Settecento anni e trenta generazioni
di impegno nella produzione di vino rappresentano, per Marchesi de’
Frescobaldi, un piacere e un obbligo: quello di tenere altissima l’immagine del
vino italiano nel mondo. A cui assolvono puntualmente nelle loro nove tenute in
Toscana e negli 80 paesi del mondo in cui sono distribuiti i loro vini.
A Leonardo Frescobaldi, presidente del gruppo, chiediamo come è cambiata negli anni la sua visione
imprenditoriale e umana?
“Il mondo del vino, negli
ultimi anni, è molto cambiato sia in Italia che all’estero, e questo ha
significato – per un’azienda storica come la nostra – doversi misurare con una
realtà sempre più internazionale. Oggi do una grande importanza alla crescita
dell’azienda, sia nel mercato nazionale che all’estero, facendo in modo di avere
un’immagine sempre coerente con quella che ci caratterizza da sempre, di
sviluppare business in modo uniforme e capillare e soprattutto facendo molta
attenzione alla scelta corretta della distribuzione dei nostri vini, che
storicamente concentrano la massima attenzione sul canale tradizionale.
Pertanto ritengo indispensabile il fatto che, anche nei Paesi dove non operiamo
con la nostra rete commerciale, i nostri interlocutori garantiscano un profilo
specializzato verso prodotti di alta gamma. Marchesi Frescobaldi rappresenta
700 anni di storia del vino italiano nel mondo. Un primato che consente di
superare tutti i fenomeni di moda o estemporaneità che, soprattutto negli
ultimi tempi, il vino ha vissuto”.
Lei probabilmente può indicare la definizione ideale per il vino.
Vogliamo provarci?
“La moda passa ma ci sono dei
valori che non vengono corrosi dall’età. Un grande vino è appunto un vino con
suo stile personale, unico, immune alle mode e al trascorrere del tempo. Quello
che cerchiamo di trasmettere attraverso i nostri vini è lo stile Frescobaldi,
caratterizzato in primis dal rispetto per la tipicità del territorio al quale
le nostre tenute sono molto legate”.
A proposito di tendenze, oggi il vino italiano si salva grazie
all’export. Ma, come spesso accade, si generano fenomeni incontrollati e
controproducenti, come quello per cui tutti guardano all’export come obiettivo.
Ma per esportare significa conoscere mercati e regole ben definite. Come
giudica la situazione?
“Anche per Frescobaldi il
mercato dell’esportazione ha sempre avuto un’importanza fondamentale. Circa due
terzi della nostra produzione è indirizzata in oltre 80 paesi esteri: per
questo, al fine di mantenere il prestigio della nostra marca e offrire il
prodotto più adatto ai consumatori, ritengo sia essenziale una conoscenza
approfondita dei singoli mercati, raggiunta negli anni attraverso una presenza
e presidio aziendale costante e frequente. Per Frescobaldi la presenza sui
mercati trasmette prestigio e internazionalità al marchio, indispensabile per
un’azienda come la nostra, che vuole essere conosciuta sia nei Paesi emergenti
che in quelli dove il vino di qualità si consuma con frequenza”.
E come vede il futuro del vino italiano?
“Credo che il vino italiano
abbia la grande opportunità di rafforzare la propria immagine di prestigio nel
mercato globale. Secondo me, dovrebbe seguire l’esempio della moda italiana,
che si è imposta grazie all’unicità del proprio stile. La ricetta che il vino
italiano dovrebbe seguire? Essere espressione del territorio da cui proviene,
puntare sul legame storico con il cibo italiano di qualità e osare, nel
contempo, l’accostamento ad alcune pietanze internazionali”.
Molte volte si è dibattuto sui canali di mercato, grande distribuzione
o ristorazione, esaltando o demonizzando l’uno o l’altro, a seconda delle
tipologie di vino e delle aziende. Come deve essere un corretto approccio al
mercato? E verso il consumatore?
“Per Frescobaldi la distribuzione nel canale tradizionale è
fondamentale in quanto è il veicolo per raggiungere il consumatore
‘appassionato’. Non trascuriamo la realtà della GDO che diventa sempre più
attenta nell’offrire una gamma di prodotti di alto livello. Secondo me, la
forza di un prodotto dipende dalla richiesta dei consumatori: tanto più un marchio
è forte, tanto più si può permettere di essere presente in entrambi i canali. A
questo proposito citerei l’esempio del nostro Nipozzano Riserva”.
Quali consigli darebbe ad un ristoratore per creare la propria carta
dei vini?
“Avere nella carta dei vini
prodotti affermati sia in Italia che all’estero: nomi familiari al consumatore, facilmente
riconoscibili e reperibili sul mercato. Importante anche menzionare sempre il
produttore e non solo la tipologia del vino, oltre ad offrire un ampio
ventaglio di prezzi, in grado di assecondare le esigenze di clienti diversi”.
Di recente avete approcciato a forme innovative di advertising che, per
un’azienda storica e per un’azienda del vino, sono ancora inusuali. Cosa ha determinato
questa scelta?
“Abbiamo fatto questa scelta
al fine di comunicare con il consumatore
e trasmettergli il valore dei nostri vini e della Frescobaldi: tradizione,
innovazione e legame con il territorio toscano. L’idea dello “story telling”
invece è stata vincente perché vogliamo che il consumatore che sceglie il
nostro vino compri anche un pezzo di Toscana e soprattutto un’emozione”.
Quanto valore affidate a forme di promozione come l’enoturismo?
“È molto importante avvicinare il consumatore al territorio e
fargli capire quanto questo trasmetta il gusto e la passione per il vino:
proprio per questo apriamo le porte delle nostre cantine con visite guidate e
degustazione presso le tenute storiche
di Pomino, Nipozzano, Castelgiocondo e Castiglioni”.
Qual è il suo piatto della memoria?
“Un fantastico stracotto alla
fiorentina gustato per la prima volta all’età di 11 anni e cucinato dalla
fattoressa di Nipozzano: fu allora che per la prima volta mi fu concesso di
assaggiare un bicchiere di vino rosso. Ed è stato da subito amore”.
E il vino della memoria?
“Indubbiamente il Mormoreto,
vino con il quale abbiamo realizzato il progetto del nostro antenato Vittorio
che già nel 1850 aveva posto le basi con l’introduzione di vitigni quali il
Cabernet Sauvignon e il Merlot e il Cabernet Franco nell’omonimo vigneto sulle
colline a est di Firenze”.
Luigi Franchi
Pubblicato
su Catering, rivista della ristorazione
e dei consumi fuori casa – Settembre 2011
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