domenica 4 dicembre 2011

Primo: non sprecare




Per quanto tempo resterà nella memoria collettiva l’insegnamento che per sapere se un uovo è ancora fresco basta scuoterlo? Una considerazione banale che, con un piccolo sforzo di memoria, riporta alla mente decine di altri semplici gesti con cui, fino a pochi anni fa, si evitavano gli sprechi oggi indotti dalle scritte sulle etichette: consumare preferibilmente entro il…
Lo scuotimento dell’uovo non mi ha abbandonato neppure un istante mentre assistevo al 3° International Forum on Food and Nutrition, organizzato da Barilla Center for Food e Nutrition all’Università Bocconi a Milano. E, a furia di pensarci mentre venivano snocciolati dati impressionanti sullo spreco alimentare, sull’obesità e sulla malnutrizione, ho capito quanta cultura alimentare stava in quello e nei mille altri sapienti gesti che si sono compiuti nelle cucine degli italiani, nei ristoranti, nelle aziende agricole.
Una cultura che rischia di essere spazzata via, che in molti Paesi industrializzati non c’è già più: la conoscenza è sostituita dal prezzo e dalla praticità. Due tra gli elementi che generano quel 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che ogni anno finiscono nella spazzatura, mentre un miliardo di persone non ha cibo sufficiente per sopravvivere.
La praticità ci sta spingendo verso la produzione di cibo sbagliato, come hanno sostenuto Ellen Gustafson, co-fondatrice del FEED Project, una società no-profit che crea buoni prodotti che aiutan a nutrire il mondo, e Vandana Shiva, fondatrice di Navdanya, movimento per la conservazione delle biodiversità e per i diritti degli agricoltori che sostiene che in realtà non cresce il cibo ma le commodity: “Si  sta tentando di separare il cibo dal concetto di nutrizione, la nutrizione dall’agricoltura e l’agricoltura dall’ambiente”.
Non è buon cibo quello che vede, nel 70% dei casi, sulle etichette almeno la presenza di una o più delle tre commodity – grano, soia e mais – ormai controllate da fondi finanziari che, guarda caso, sono quelli che hanno garantito i ritorni maggiori negli ultimi cinque anni. Non ci si nutre con la praticità, anzi si contribuisce all’enorme crescita dei rifiuti che, solo in Italia, stando alle parole di Andrea Segrè fondatore di Last Minute Market, pesa per 580 kg pro-capite all’anno, di cui il 20% in imballaggi: “Si tratta di 20 milioni di tonnellate di rifiuti che equivalgono ad uno spreco di 12 miliardi di euro”. Una enormità che produce un solo assurdo risultato: tasche più vuote e mondo più inquinato!
La causa sta in molti fattori ma il principale è il prezzo. “Il cibo costa troppo poco, ce n’è troppo, lo si tratta e lo si gestisce con superficialità perché conta di più l’aspetto esteriore di quello del gusto” ha spiegato il giornalista americano Jonathan Bloom, autore del blog Waster Food.
È vero, il cibo costa poco, troppo poco rispetto ai costi di produzione, soprattutto quelli agricoli che fanno lasciare nei campi, solo in Italia, 14 milioni di tonnellate di materie prime che hanno richiesto 12,6 miliardi di metri cubi di acqua per essere prodotti. Ma l’agricoltore non riusciva a sostenere ulteriori costi rispetto alla miseria con cui, ad esempio, quest’estate venivano retribuite le pesche: 5 chili per pagarsi un caffè al bar.
Allora vale davvero la pena di seguire il consiglio di Andrea Segrè: “Da domani, quando andate al supermercato, imponetevi di comprare solo dieci cose per volta. Non una di più. È un esercizio che potrebbe rivelarsi faticoso, ma fatelo. Cominciate così a ridurre gli sprechi.”
E torniamo ad ascoltare l’uovo.

Luigi Franchi
Pubblicato su Cateringnews.it giovedì 1 dicembre 2011

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